Una ‘’guerra disciplinare’’ nelle redazioni?
Riflessioni a caldo sulla Carta di Firenze

Carta1 Una Carta che chiede ”politiche attive contro la precarietà” e un Osservatorio permanente costituito da Ordine dei Giornalisti e Fnsi per vigilare sul rispetto delle regole. E’ la ‘’Carta di Firenze’’, approvata al termine dell’ assemblea ‘’Giornalisti e Giornalismi’’, che si è tenuta a Firenze il 7 e 8 ottobre, per affrontare il problema della precarietà
———-

di Pino Rea *

Ha ragione Enzo Iacopino, il presidente dell’ Ordine dei giornalisti, quando dice che Firenze sarà un punto di non ritorno. La due giorni fiorentina contro il precariato e per la dignità del giornalismo ha infatti segnato un momento di svolta dando massa critica, in termini di visibilità ed urgenza, ad una questione che si agitava da tempo senza riuscire a sfondare nel discorso pubblico sul giornalismo e l’ editoria italiana.

Certo, pensare a una sorta di via disciplinare a un riequilibrio dei trattamenti economici e professionali fra interni ed esterni alle redazioni, ”garantiti” e inermi, contrattualizzati e atomizzati – per giunta col rischio che all’ Ordine venga sottratta proprio la competenza sulla materia deontologica, come prevede la manovra governativa del 14 agosto -, può sembrare un po’ demagogico o illusorio: i nodi strutturali come il lavoro giornalistico sottopagato e sommerso non si possono affrontare infliggendo sanzioni al direttore o al capo redattore di questa o quella testata. Che facciamo, ‘colpirne uno per educarne 100’?

Il movimento dei precari e il sindacato

Carta2Ma la Carta è ugualmente uno strumento importante (‘’in progress’’ naturalmente, come auspicava ieri dal palco del cinema Odeon uno dei rappresentanti del Coordinamento dei precari della Campania, Ciro Pellegrino, ed è molto importante che la Commissione dell’ Ordine sul lavoro autonomo continui a lavorare in questo senso) perché è attorno ad essa che si sta addensando un movimento – già in parte articolato intorno ad alcuni coordinamenti: oltre alla Campania, il Veneto, la Lombardia, la Toscana) – , che potrebbe rappresentare un interlocutore efficace (dialettico e autonomo, ovviamente) per la Fnsi.

Il sindacato ha bisogno di un movimento ampio e ricco per individuare le parole d’ ordine concrete più efficaci intorno a cui avviare il confronto con gli editori anche in vista della prossima scadenza contrattuale. Immaginando anche delle forme di rappresentanza sia territoriali che aziendali efficaci e non puramente simboliche.

La Fnsi ne ha bisogno anche per consentire ai suoi vertici (e alle strutture già avviate ‘’dall’ alto’’) di superare le resistenze interne al giornalismo ‘’garantito’’ e di riformare anche gli strumenti di rappresentanza di base, a partire dai Comitati di redazione, che nelle loro forme attuali costituiscono forse il punto di maggiore inerzia e conservazione di fronte all’ ipotesi di una contrattazione nazionale seria per il lavoro autonomo.

Le resistenze dei Cdr  d’ altronde sono comprensibili: essi rappresentano sostanzialmente gli interessi degli interni alle redazioni (usiamo questo termine nella sua accezione puramente fisica) e sono uno dei tre soggetti della cogestione delle risorse a disposizione, insieme a management  e direzione. Un riequilibrio nel trattamento del lavoro esterno comporterebbe delle modifiche nella destinazione di quelle risorse.

D’ altronde Franco Siddi è stato molto chiaro durante la tavola rotonda di sabato mattina, annunciando l’ impegno della Fnsi a non mollare ‘’l’ osso contrattuale’’ per il lavoro autonomo, ma sottolineando ancora una volta il fatto che il settore ‘’non è certo in grado di assorbire 100.000 giornalisti’’ (iscritti all’ Ordine). E facendo notare che ‘’per pagare meglio i collaboratori si dovrà tagliare agli altri’’.

In Francia solo 37.415 giornalisti

D’ altra parte in Francia, un paese confrontabile con  il nostro e con un sistema dell’ industria editoriale  analogo al nostro, i giornalisti professionali (quelli interni e i freelance, i cosiddetti ‘pigistes’), in possesso quindi del tesserino di giornalista, alla fine del 2010 eranio complessivamente 37.415. Per avere la carte de presse bisogna vivere prevalentemente di giornalismo e avere ottenuto l’ anno precedente un reddito pari almeno alla metà del salario minimo nazionale, lo Smic, che per il 2011 è stato fissato un 1.073 euro netti al mese**.

Si tratta di una popolazione giornalistica analoga a quella del nostro paese, dove i giornalisti attivi ‘’visibili’’ (come li abbiamo definiti nella nostra Ricerca sulla professione, di cui presto presenteremo l’ aggiornamento) alla fine del 2010 erano 44.906: 19.895 subordinati e 25.011 autonomi. Di questi ultimi però almeno 13.000 in Francia non otterrebbero la carte de presse perché dichiaravano un reddito annuo inferiore ai 5.000 euro lordi.

Se quindi per ipotesi in Italia ci fosse un sistema analogo a quello francese i giornalisti professionali sarebbero in Italia 32.000 su 110.000 iscritti all’ Ordine.

La ‘’qualità’’ secondo il presidente della Fieg

Intanto il presidente della Fieg, Carlo Malinconico, ha fatto capire molto chiaramente che gli editori continueranno a privilegiare per quanto possibile le redazioni. E’ vero che per la Fieg è giusto dare ai giornalisti esterni un ‘’corrispettivo proporzionato’’ al loro lavoro – ha detto-, ma ha seccamente respinto l’ ipotesi – illustrata dall’ on. Enzo Carra, relatore in commissione cultura del disegno di legge sul cosiddetto ‘’equo compenso’’ – di utilizzare come parametro della equità retributiva la ‘’coerenza’’ coi trattamenti previsti dal Contratto nazionale di lavoro per il lavoro subordinato. Un criterio su cui, pur dicendo di apprezzare l’ obbiettivo del disegno di legge, Malinconico ha annunciato la assoluta contrarietà della Fieg.

Secondo il rappresentante degli editori, solo puntando sulla qualità l’ editoria può superare la crisi e affrontare le sfide del futuro: ma evidentemente per la Fieg la qualità sta più dalla parte delle redazioni che fra i giornalisti esterni.  Che al contrario, in alcuni paesi, godono di un trattamento retributivo più favorevole rispetto ai redattori interni vista la condizione di incertezza in cui si muovono.

I budget e la catena di comando

Ciò non toglie che ci siano effettivamente problemi di qualità nel meccanismo che regola attualmente buona parte della produzione giornalistica nel nostro paese, visto che in alcune situazioni oltre il 70% degli articoli, anche nelle testate più ricche, vengono prodotti da ‘’redattori’ esterni (vedi ‘’Quanto scrivono i precari in Campania’’) costretti, anche per l’ esiguità dei compensi, a far prevalere i criteri della quantità e della velocità rispetto a quelli dell’ accuratezza e dei controlli.

Ma è il classico cane che si morde la coda perché anche alcuni esponenti della catena di comando – per esempio i responsabili delle cronache locali, delle pagine sportive, ecc. – devono fare i conti con  budget per il lavoro esterno (per esempio per 20 collaboratori) spesso pari al costo di un solo redattore di prima nomina.

Ma è davvero realistica una ‘’guerra’’ disciplinare nelle redazioni?

Si applicheranno a loro, agli ultimi anelli della catena, le eventuali sanzioni previste, ad esempio, contro quegli iscritti all’ Ordine che impiegano colleghi con compensi inadeguati? Oppure utilizzano il lavoro di pensionati lasciati (dall’ editore?) nelle stesse mansioni che svolgevano prima della pensione? O si salirà più in alto nella catena di comando?  Verso i capiredattori e i direttori?

Il presidente dell’ Ordine, Enzo Iacopino, ha ripetuto più volte ieri l’ invito a leggere con attenzione le ultime due righe della Carta, dove sono appunto previste le sanzioni. Ritenendole l’ elemento più rilevante di tutta la struttura del documento.

Può darsi che abbia ragione, anche in questo caso.

Io resto scettico. Penso che le carte abbiano un forte valore simbolico più che una concreta efficacia precettiva. E non mi sembra realistico per l’ Ordine aprire un fronte di conflitto così vasto e dilaniante  all’ interno di decine e decine di redazioni di gran parte delle testate italiane.

Non sarebbe meglio accentuare l’ impegno per la qualità e la dignità del giornalismo offrendo alle nebulose dei giornalisti autonomi che ruotano attorno alle redazioni ‘’centrali’’ – e che rappresentano delle vere e proprie redazioni diffuse – delle concrete occasioni di formazione, di qualificazione e di aggiornamento professionale?

In modo da consentire al sindacato, in tutte le sue articolazioni, di ‘’convincere’’ (oltre che una parte dei suoi quadri dirigenti) gli editori che la qualità – quella che invoca Malinconico – non sta solo all’ interno delle mura della testata ma vive anche all’ esterno e che come tale va compensata.

E per permettere in particolare ai Cdr (a dei nuovi Cdr, che siano rappresentativi di tutti i redattori, interni ed esterni, di tutta la macchina della produzione) di ‘’convincere’’ la catena di comando che un budget per 20 ‘’redattori’’ esterni non può essere pari al costo di un solo redattore interno.

Qui il testo della Carta di Firenze***

—–

*  Consigliere nazionale Odg

**Dati tratti da uno studio sulla professione giornalistica in Francia che Lsdi presenterà fra qualche giorno.

***Ordine e sindacato, si legge fra l’ altro nella Carta, favoriranno ”forme di regolarizzazione contrattuale”, e l’ ”avviamento verso contratti a tempo indeterminato ed equi”, in caso di nuove assunzioni valorizzando ”le professionalità già operanti in azienda”. Le aziende dovranno poi rispettare i ”limiti di legge” per l’ impiego di stagisti e tirocinanti. La Carta viene considerata un’ applicazione dell’ articolo 2 della legge istitutiva dell’ Ordine, e quindi ‘’la violazione di queste regole…comporta l’ avvio di un procedimento disciplinare’’ nei confronti degli iscritti responsabili di quelle violazioni.
Il documento verrà ora vagliato dai legali dell’ Ordine prima dell’entrata in vigore definitiva col voto del Consiglio nazionale Odg.