Una ‘’Carta del carcere e della pena’’ contro l’ imbarbarimento del giornalismo

Uomo-in-prigione

Presentato oggi a Palazzo Marino un progetto di codice deontologico dedicato a chi scrive di condannati, detenuti, delle loro famiglie e del mondo carcerario in genere – Due i principi fondamentali: rispetto della legge (anche di quella sui benefici e sulle misure alternative) e diritto all’ oblio al termine della pena – Il testo della Carta

—–

Un tentativo di rispondere a una sorta di imbarbarimento della professione giornalistica.

Dovrebbe avere anche questa funzione, secondo il presidente dell’ Ordine dei giornalisti della Lombardia, Letizia Gonzales,  la ‘’Carta di Milano del carcere e della pena’’, una proposta di codice etico-deontologico dedicato a chi scrive di condannati, detenuti, delle loro famiglie e del mondo carcerario in genere.

La Carta è stata illustrata stamani a Palazzo Marino anche dagli Ordini dei giornalisti di Emilia-Romagna e Veneto, che, insieme a quello lombardo, hanno elaborato il progetto. Presenti fra gli altri il sindaco di Milano, Pisapia, e il presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida, che è fra ui curatori del documento

La Carta afferma sostanzialmente due principi: il primo è che non è ammessa  (neanche per i giornalisti) l’ignoranza della legge e sono leggi quelle che consentono a un detenuto di accedere a benefici e misure alternative: la possibilità di riappropriarsi progressivamente della libertà non  mette in discussione la certezza della pena. Si tratta dunque di usare termini appropriati in tutti i casi in cui un detenuto usufruisce di misure alternative al carcere o di benefici penitenziari, evitando di sollevare un ingiustificato allarme sociale e di rendere più difficile un percorso di reinserimento che avviene sotto stretta sorveglianza. Le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena.

L’ altro principio è il diritto all’oblio. Una volta scontata la pena, l’ex detenuto che cerca di ritrovare un posto nella società, non può essere indeterminatamente esposto all’attenzione dei media che continuano a ricordare ai vicini di casa, al datore di lavoro, all’insegnante dei figli e ai loro compagni di scuola il suo passato. Sono ammesse ovvie eccezioni per quei fatti talmente gravi  per i quali l’interesse pubblico non viene mai meno.

*****

La Carta è il primo passo per arrivare all’approvazione di un codice a livello nazionale che regoli i rapporti tra media e mondo carcerario. “L’informazione non solo riflette, ma orienta l’opinione pubblica e quindi ha una grande responsabilità per evitare di scatenare sentimenti collettivi incontrollati”, ha detto Valerio Onida, tra i curatori della Carta deontologica.  “Il bene fondamentale da tutelare è la dignità delle persone”, ha aggiunto.

All’iniziativa erano presenti altre ai presidenti degli Ordini interessati, le direttrici delle più importanti riviste carcerarie, il provveditore regionale alle carceri Luigi Pagano, l’attuale direttore del carcere di Bollate Massimo Parisi e l’ex direttrice Lucia Castellano, oggi assessore alla casa del comune di Milano e un gruppo di detenuti che ha collaborato alla stesura della Carta.

“Questa Carta – ha concluso il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Letizia Gonzales è anche un tentativo di rispondere ad una sorta  di imbarbarimento della nostra professione, in tutti i casi nei quali, anche per la fretta e la velocità con cui spesso siamo costretti ad agire, i media finiscono per creare mostri invece di parlare di persone che hanno commesso reati anche mostruosi ma che restano persone”.

(Resoconto a cura di Susanna Ripamonti)

*****

Il testo del progetto di Carta è qui sotto:

CARTA DI MILANO

Del carcere e della pena

Proposta per un codice etico/deontologico per giornalisti e operatori dell’informazione che trattano notizie concernenti cittadini privati della libertà o ex-detenuti tornati in libertà.

Premessa

Con le presenti norme di autoregolamentazione Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti fa propria la necessità di sostenere, anche con l’informazione, la lotta ai pregiudizi e all’esclusione sociale delle persone condannate a pene intra o extra murarie.

Ricorda il criterio deontologico fondamentale del «rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati» contenuto nell’articolo 2 della Legge istitutiva dell’Ordine e sollecita il costante riferimento alle leggi che disciplinano il procedimento penale e l’esecuzione della pena e ai principi fissati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dalla Costituzione Italiana e dalla legge sull’Ordinamento Penitenziario (n. 354 del 1975) con le relative modifiche apportate dalla cosiddetta legge Gozzini (n. 663 del 1986).

A TAL PROPOSITO  INVITA I GIORNALISTI A:

a) Osservare la massima attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i cittadini privati della libertà  in quella fase estremamente difficile e problematica di reinserimento nella società.

b) Tenere presente che il reinserimento sociale è un passaggio complesso che può avvenire a fine pena oppure gradualmente, come previsto dalle leggi che consentono l’accesso al lavoro esterno, i permessi ordinari, i permessi – premio, la semi-libertà, la liberazione anticipata e l’affidamento in prova ai servizi sociali.

c) Usare termini appropriati in tutti i casi in cui un detenuto usufruisce di misure alternative al carcere o di benefici penitenziari evitando di sollevare un ingiustificato allarme sociale e di rendere più difficile un percorso di reinserimento sociale che avviene sotto stretta sorveglianza. Le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena.

d) Tenere conto dell’interesse collettivo, ricordando, quando è possibile, dati statistici che confermano la validità delle misure alternative e il loro basso margine di rischio

e) Fornire, laddove è possibile, dati attendibili e aggiornati che permettano una corretta lettura del contesto carcerario.

f) Considerare sempre che il cittadino privato della libertà è un interlocutore in grado di esprimersi e raccontarsi, ma può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze e gli eventuali rischi dell’esposizione attraverso i media.

g) Tutelare il condannato che sceglie di parlare con i giornalisti, adoperandosi perché non sia identificato con il reato commesso, ma con il percorso che sta facendo.

h) Usare termini appropriati quando si parla del personale in divisa delle carceri italiane: poliziotti, agenti di polizia penitenziaria o personale in divisa.

i) Riconoscere il diritto dell’individuo privato della libertà o ex-detenuto tornato in libertà a non restare indeterminatamente esposto ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione: il diritto all’oblio rientra tra i diritti inviolabili di cui parla l’art. 2 della Costituzione e può essere ricondotto anche all’art. 27, comma 3°, Cost., secondo cui “Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”.

l) sono ammesse ovvie eccezioni per quei fatti talmente gravi per i quali l’interesse pubblico alla loro riproposizione non viene mai meno. Si pensi ai crimini contro l’umanità, per i quali riconoscere ai loro responsabili un diritto all’oblio sarebbe addirittura diseducativo. O ad altri gravi fatti che si può dire abbiano modificato il corso degli eventi diventando Storia, come lo stragismo, l’attentato al Papa, il “caso Moro”, i fatti più eclatanti di “Tangentopoli”.

m) E’ evidente che nessun problema di riservatezza si pone quando i soggetti potenzialmente tutelati dal diritto all’oblio forniscono il proprio consenso alla rievocazione del fatto.

n) Garantire al cittadino privato della libertà, di cui si sono occupate le cronache, la stessa completezza di informazione,  qualora sia prosciolto.

DIRETTIVE

  1. 1. Tutte le norme elencate riguardano anche il giornalismo on-line, multimediale e altre forme di comunicazione giornalistica che utilizzino innovativi strumenti tecnologici per i quali dovrà essere tenuta in considerazione la loro prolungata disponibilità nel tempo;
  2. Tutti i giornalisti sono tenuti all’osservanza di tali regole per non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge istitutiva dell’Ordine.
  3. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti raccomanda ai direttori e a tutti i redattori  di aprire con i lettori un dialogo capace di andare al di là della semplice informazione per far maturare una nuova cultura del carcere che coinvolga la società civile.  Sottolinea l’opportunità che l’informazione sia il più possibile approfondita e corredata da dati, in modo da assicurare un approccio alla “questione criminale” che non si limiti all’eccezionalità dei casi che fanno clamore, ma che approfondisca – con inchieste, speciali, dibattiti – la condizione del detenuto e le sue possibilità di reinserimento sociale.
  4. Raccomanda inoltre di promuovere la diffusione di racconti di esperienze positive di reinserimento sociale, che diano il senso  della possibilità, per un ex detenuto, di riprogettare la propria vita, nella legalità.

IL CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI SI IMPEGNA A:

  1. Individuare strumenti e occasioni formative che promuovano una migliore cultura professionale;
  2. Proporre negli argomenti dell’esame di Stato per l’iscrizione all’Albo professionale un capitolo relativo al carcere e all’esecuzione penale;
  3. Promuovere seminari di studio sulla rappresentazione mediatica del carcere;
  4. Richiamare i responsabili delle reti radiotelevisive, i provider, gli operatori di ogni forma di multimedialità a una particolare attenzione ai temi della carcerazione anche nelle trasmissioni di intrattenimento, pubblicitarie e nei contenuti dei siti Internet;
  5. Promuovere l’istituzione di un osservatorio sull’informazione relativa al carcere;
  6. Istituire un premio annuale per i giornalisti che si sono distinti nel trattare notizie relative a persone detenute o al carcere in generale.