Giornalismo scientifico: 6 mesi di embargo sulle ‘scoperte’?

Nature

Lo propone, in modo apparentemente provocatorio, John Rennie, ex caporedattore di Scientific American, in un articolo pubblicato dal Guardian, ‘’Time for change in science journalism?’’  – I giornalisti che si occupano di scienza  avrebbero più tempo per i loro servizi e potrebbero avere a disposizione un ventaglio di scienziati più ampio a cui far riferimento per i commenti – Dare più peso ad una visione d’ insieme delle linee di sviluppo della ricerca scientifica e puntare a realizzare articoli più analitici e approfonditi

——

Time for change in science journalism?

di John Rennie*
(traduzione di Claudia Dani)
Allo Science Online 2011, una conferenza per giornalisti e blogger in Nord Carolina, ho partecipato a un panel che analizzava se il giornalismo scientifico online potesse essere meglio del suo equivalente tradizionale. La mia prima reazione è stata: “O Mio Dio,lo spero!”

La mia veemenza non deriva solo dall’entusiasmo per i miglioramenti possibili attraverso il collegamento diretto alle fonti primarie, la facilità di dialogo con i lettori, la multimedialità e risorse dal forte potere esplicativo tipo i Lolcats.  Quanto, piuttosto, dalla convinzione che i resoconti online possano offrire un nuovo punto di partenza, con la possibilità di correggere i maggiori difetti dell’ attuale copertura informativa sulla ricerca. Vorrei sfidare redattori e direttori dei vari media a riconsiderare radicalmente come si definisce una notizia scientifica.

Molte  categorie di notizie sono costruite intorno ad eventi ‘’discreti’’. Un edificio brucia, una legge entra in vigore, una squadra vince la partita: queste cose succedono una volta e non possono non accadere. I media di informazione si precipitano a informare il pubblico immediatamente sugli eventi e le conseguenze che ne derivano.

La scienza progredisce invece più gradualmente. I ricercatori raggiungono dei risultati su una scoperta lentamente, attraverso esperimenti più volte ripetuti. Discutono prima i risultati in un incontro specifico. Poi scrivono e pubblicano una illustrazione del loro lavoro su una rivista scientifica, ma altri nel loro campo potrebbero non accettarne le conclusioni fino a quando non avranno replicato gli stessi risultati, che potrebbero più tardi essere rivisti o ritrattati. Esiste, raramente, un momento ben distinto in cui un risultato o una teoria viene accettata completamente ed ha il consenso degli scienziati.

Le pubblicazioni scientifiche sono, di conseguenza, come  il ballo delle debuttanti: viene presentata formalmente una scoperta alla società ma essa non dà garanzie sulle eventuali prospettive. Finora, per tradizione, il giornalismo  ha sempre trattato la pubblicazione di un articolo su una rivista come una notizia, un fatto convalidato. Le stesse riviste scientifiche incoraggiano quella pratica attraverso la diffusione di comunicati stampa (con embargo) con la sintesi dei risultati di nuove ricerche. Selezionano gli articoli che dovrebbero contenere importanti novità e spiegano il loro significato ai giornalisti in cambio di un impegno a non pubblicare prima di una data e un orario definiti.

La conseguenza, abbastanza assurda, di questa situazione è che i media dipendono, pesantemente, se non esclusivamente, dai comunicati ‘embargati’ nella scelta delle notizie da raccontare: forse perché l’embargo dà un po’ di tempo per preparare un buon servizio, e poi perché  sanno che i loro concorrenti hanno la stessa storia. E per paura di ‘bucature’ tutte le testate, alla scadenza dell’ embargo, pubblicano la stessa notizia.  In questa confusa e strana copertura mediatica, le opportunità di realizzare un resoconto distinto e chiaro sono poche. I giornalisti cercano commenti disinteressati e informati su quella ricerca  da altri scienziati che lavorano in altri laboratori e che si trovano in posizione di svantaggio perché la ricerca è sconosciuta e nuova anche per  loro. Così i commenti sono spessi all’ insegna della banalità, delle frasi tipo ‘’risultati sarebbero eccitanti, se confermati”.

Dal momento che le riviste pubblicano resoconti di nuove ricerche scientifiche ogni settimana, il sistema avrebbe bisogno di un grande  passo in avanti. Raramente i giornalisti scientifici si fermano a guardare indietro per vedere che sviluppi hanno avuto eventualmente le ricerche di cui avevano parlato in precedenza.

Sicuramente ci deve essere un sistema migliore. Facciamo questa ipotesi (palesemente  irrealistica): che cosa succederebbe se tutti i direttori e i giornalisti della stampa scientifica, inclusi i blogger, si imponessero una moratoria che proibisca di parlare delle nuove scoperte scientifiche prima di sei mesi dopo la loro pubblicazione sulle riviste scientifiche?

Ovviamente, i redattori avrebbero più tempo per i loro servizi e potrebbero avere a disposizione un ventaglio di scienziati più ampio a cui far riferimento per i commenti, che  risulterebbero meno frettolosi e meglio informati. Il cambiamento più rilevante, comunque, riguarderebbe probabilmente la scelta degli articoli. Molte ricerche che ora vengono descritte in maniera affannosa forse non verrebbero neanche riportate, oppure finirebbero nelle sintesi delle ultime notizie relative a un singolo settore.

Altre scoperte,  che ora vanno perse – perché i resoconti appaiono su riviste meno prestigiose oppure vengono presentate con troppo clamore -, potrebbero finalmente avere il loro giusto riconoscimento.

Siccome la ‘novità’ potrebbe non essere ancora per molto il fattore primario che guida la selezione delle notizie scientifiche,  i redattori potrebbero dare più peso a una visione d’ insieme delle ricerche, individuando soprattutto le loro linee di sviluppo, o privilegiare servizi più profondi e analitici.  E gli stessi articoli delle riviste scientifiche potrebbero avere maggiore spessore e un più solido contesto probatorio.

In più, i blog e le pagine scientifiche dei giornali offrirebbero ancora alcuni servizi sullo stesso argomento, ma potrebbero ottenere un uso più intelligente delle loro risorse. In quanto ex capo redattore di Scientific American, un magazine esclusivamente scientifico fino al 1990, posso affermare con sicurezza che molti dei lettori di scienza scambierebbero molto volentieri una copertura frettolosa e superficiale di un argomento con qualcosa di più.

Ritardare la copertura mediatica di una ricerca può non essere un rimedio reale alle malattie del giornalismo scientifico. Ma voglio lo stesso incoraggiare i media a ripensare e ad ampliare la loro copertura della ricerca scientifica.  Se non altro, dovranno riconsiderare che , grazie al web, i lettori possono avere un accesso sempre più ampio a comunicati stampa, riviste scientifiche  e istituti di ricerca, raggiungendo siti popolari come Science Daily o Futurity.org.

Se il nostro giornalismo non riesce ad offrire ai lettori un valore aggiunto rispetto a questi siti ‘’alternativi’’ di informazione, allora c’è davvero qualcosa che non va.

—–

* John Rennie, ex caporedattore di Scientific American, commentatore per The Gleaming Report.