Carta di Firenze, un accordo con gli editori su un tariffario realistico

TariffarioE’ l’ ipotesi avanzata da Marco Renzi, professionista disoccupato e collaboratore di Lsdi, in queste riflessioni sulla due giorni fiorentina – Una giusta retribuzione è l’ elemento che accomuna tutti i giornalisti esterni alle redazioni e allora un ”listino prezzi” realistico, un tariffario attendibile redatto dopo capillare consultazione fra Ordine, Sindacato unitario, rappresentanze dei lavoratori esterni e, naturalmente, editori, potrebbe essere una strada concreta per andare avanti

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di Marco Renzi

E venne la Carta di Firenze. Presa di posizione deontologica, solenne, ufficiale, dell’ Ordine dei Giornalisti.

A beneficiarne, o a farne le spese, – decidete voi –  come al solito,  i precari, quei giornalisti non “possessori di contratto” e per questo ampiamente sfruttati ad ogni pie’ sospinto da capi, capetti, editori, e ranghi compatti delle scarsamente illuminate truppe delle istituzioni giornalistiche.  E’ di questo che stiamo parlando o sbaglio? Per caso l’ avete letta la Carta di Firenze? Avete forse scorto nel prezioso documento elementi di concretezza per dare una svolta, una volta per tutte, allo sfruttato mondo del cosiddetto lavoro atipico nell’informazione? L’ennesimo  documento di indirizzo morale non può fornire alcun appiglio legittimo ai colleghi sfruttati per rivendicare un trattamento equo e legittimamente  collegato al contratto nazionale della categoria.

Dunque a che cosa serve la Carta di Firenze? E invece cosa realmente potrebbe servire alle frange deboli, sebbene numericamente più rappresentative dei “portatori sani di contratto”, per emanciparsi dal ruolo di “paria” e assurgere finalmente nei ranghi dei cittadini normali?  Un addetto ai lavori, tutt’altro che super partes, anzi, decisamente addentro alle tematiche e molto interessato al dibattito: il Presidente dell’Ordine del Veneto, Gianluca Amadori, incontrato a Firenze, ci ha suggerito candidamente la sua idea.  Un nuovo listino prezzi e prestazioni, un nuovo e una volta tanto magari, anche  attendibile,  “tariffario”.

Devo dire che l’idea inizialmente mi aveva lasciato perplesso, ma dopo averla messa a macerare per qualche giorno ha preso forza e vigore. Abbandoniamo la “grammatica” e diamo una netta sterzata verso la “pratica”. Cosa accomuna tutti i giornalisti, soprattutto i free lance e in precari in generale, se non una giusta retribuzione?

Facciamo ora un piccolo passo indietro per precisare alcune cosette, prima di provare ad illustrare l’idea in modo dettagliato. Da sempre il tariffario diffuso dall’Odg, o meglio  almeno da quando il sottoscritto ha modo di ricordare,  altro non è che un’accozzaglia senza senso di numeri e chiacchiere.  E questo a causa delle tariffe in esso contenute oltremodo distanti dal mercato del lavoro “reale”. Prendete l’ultimo tariffario pubblicato sul sito dell’Ordine, quello 2007, fate le verifiche del caso e scoprirete che un articolo per un quotidiano nazionale/agenzia di stampa/tv nazionali e network dovrebbe essere pagato dall’editore non meno di 171 euro.  Sentite le risate anche da lì?

Cifre folli, mutuate non si sa bene da quale riflessione, e relative a non si sa quale professione, certamente non la nostra. Ebbene a mettere un poco di cacio sui maccheroni arriva proprio nel 2007 un pronunciamento ufficiale dell’Antitrust, l’autorità garante della concorrenza e del mercato che intima all’Odg di ritirare il tariffario ritenendo che la sua applicazione sebbene “non inderogabile” , si legge testualmente :<<  possa provocare una restrizione della concorrenza fra gli operatori del settore…>>.

E mentre tutti ridevano, compresi immaginiamo anche i Consiglieri nazionali dell’Odg, la nostra categoria si ritrovava senza un listino prezzi. Un tariffario risibile, forse inadeguato, magari pure non utilizzato, ma certamente utile a tutti i colleghi sfruttati e ai loro avvocati che in ogni controversia di lavoro usavano il succitato listino come base di partenza per contabilizzare i compensi maturati e talvolta mai erogati dagli editori proprio  ai medesimi succitati colleghi di ogni ordine e grado,  che prendendo il coraggio a due mani, avevano  deciso di portare in giudizio i loro datori di lavoro.

Da allora, il discorso tariffario è rimasto lettera chiusa. Nessuno si è più preoccupato di  risollevare la questione, sono passati 4 anni, gli editori hanno caldamente ringraziato, e nel frattempo hanno  anche raccolto il “collegato lavoro”,  e tutto si è fatto ancora più difficile, soprattutto per i precari.

Ed eccoci qui: è forse giunto  il momento di riprendere in mano la questione tariffario e di usare il passepartout del listino prezzi per tentare di introdurre criteri sicuri e oggettivi per disciplinare un poco l’ingovernabile mondo dell’informazione?

Pensate ad un listino vero, un tariffario attendibile redatto dopo lungo e coscienzioso lavoro di capillare consultazione fra Ordine, Sindacato unitario, Rappresentanze sindacali di base dei precari e anche  tutte le maestranze che lavorano sul web, e poi gli Editori, intesi sia come Fieg che come rappresentanze degli altri segmenti di impresa editoriali che operano nel mondo dell’informazione, ad esempio l’Anso per l’on line.

E poi? Al termine delle consultazioni, il tariffario individuato, finalmente credibile, dovrebbe  essere presentato in un incontro pubblico agli stessi rappresentanti di tutte le parti in causa e, naturalmente, a quelli dell’ Antitrust, per verificare eventuali obiezioni alla sua entrata in vigore da parte degli esperti del Garante.Hai visto mai che dopo tutta la fatica fatta….?

E infine? Terminato l’iter di presentazione, il listino approvato dalle parti in causa, dovrebbe, a mio avviso, essere sottoposto ad una necessaria, e molto democratica consultazione popolare. Una bella sessione di voto da parte dei giornalisti iscritti all’Ordine.

In questo modo avremo una solida base di partenza, valevole in ogni frangente e applicabile a tutti i lavoratori coinvolti e accettata da tutti i soggetti imprenditoriali e dagli organi competenti in ogni controversia.

Un modo forse meno ideologico ma decisamente più concreto per iniziare a mettere mano ad una riforma della professione non procrastinabile nel nostro Paese, se vogliamo che continui ad esistere la professione giornalistica.