Open Data, la Commissione europea batte un colpo

OpenData

Secondo un documento presentato oggi a Bruxelles, le informazioni del settore pubblico sono la principale fonte di dati e potrebbero generare benefici economici per 140 miliardi di euro – Un portale Web diventerà una porta di accesso ai dati provenienti dalla Commissione e da tutte le istituzioni europee – La situazione dell’ Open Data in Italia e negli Stati Uniti

a cura di Andrea Fama

Le informazioni che fanno capo al settore pubblico (PSI) sono la principale fonte di dati in Europa e, secondo uno studio condotto dalla Commissione Europea, possono generare benefici economici diretti e indiretti pari a 140 miliardi di euro.

Quindi, incentivare il riutilizzo di tali materiali può favorire consistenti opportunità economiche in termini di nuovi ambiti e posti di lavoro.

Quanto viene segnalato sul sito della Commissione stimola una prima, immediata riflessione: in tempi di magra, il dibattito sulla liberazione dei dati pubblici pare essersi spostato dalla questione della trasparenza a quella dello sviluppo economico.

Con una mano sul cuore ed una sul portafogli, dunque, la CE (a seguito di una consultazione avviata nel  settembre 2010) ha presentato oggi una Strategia per l’Open Data volta a stabilire regole più chiare su come utilizzare al meglio le informazioni del settore pubblico.

Nello specifico, la strategia – che intende facilitare l’ individuazione ed il riutilizzo di tali informazioni da parte di cittadini e imprese –  si articola sui seguenti quattro punti:una Comunicazione sull’Open Data, parte integrante della Strategia 2020, che individua nei dati aperti un motore per l’innovazione, la crescita e una governance trasparente;

1. una Comunicazione sull’Open Data, parte integrante della Strategia 2020, che individua nei dati aperti un motore per l’innovazione, la crescita e una governance trasparente;

2. una proposta di revisione della Direttiva 2003/98/CE, attualmente vigente in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico negli Stati membri;

3. una proposta di revisione delle regole di riutilizzo dei documenti detenuti dalla stessa Commissione, tale per cui le informazioni in questione saranno fornite in formati leggibili dalle macchine, e includeranno anche i dati del Joint Research Center;

4. la realizzazione, entro la primavera del 2012, di un portale Web (già annunciato lo scorso aprile)che si porrà come singola porta di accesso ai dati provenienti dalla Commissione e da tutte le istituzioni europee, unitamente agli organi, alle agenzie ed alle autorità nazionali.

Nello specifico, la proposta di modifica della Direttiva 2003/98/CE intende aprire ulteriormente il mercato dei servizi basati sulle informazioni del settore pubblico, prevedendo di:

a)      estendere il campo di applicazione della Direttiva alle biblioteche (comprese le biblioteche universitarie), ai musei e agli archivi;  [E fin qui tutto bene]

b)      limitare il corrispettivo in denaro che può essere richiesto per il riutilizzo di PSI ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione, salvo in casi eccezionali giustificati in base a criteri oggettivi, trasparenti e verificabili; [Già la Direttiva 2003/98/CE prevedeva lo stesso principio, ma senza alcun riferimento ai “criteri”  che renderebbero possibile la richiesta di “un corrispettivo in denaro di importo superiore ai costi marginali”.]

c)       introdurre la sorveglianza di autorità indipendenti competenti in materia di riutilizzo delle PSI (con riferimento alla corretta attuazione di alcuni elementi della Direttiva, come i mezzi di ricorso, il rispetto dei principi di tariffazione e gli obblighi in materia di relazione);  [Come saranno individuate queste autorità? Quanto margine di incisività avranno? Se avranno effettivamente l’autorità di svolgere il proprio compito secondo quanto indicato nella proposta, mi sembra cosa buona]

d)      mettere a disposizione degli utenti i documenti degli enti pubblici, tramite formati leggibili meccanicamente, insieme ai rispettivi metadati, ove possibile e appropriato, in un formato che garantisce l’interoperabilità – per esempio elaborandoli secondo modalità coerenti con i principi che disciplinano i requisiti di compatibilità e fruibilità dei dati territoriali nell’ambito della direttiva 2007/2/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2007, che istituisce un’Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea (Inspire).   [Era ora!, ma … “ove possibile e appropriato”: ci dobbiamo preoccupare? Dalle nostre parti ancora si legge di enti provinciali che si dicono autorizzati a diffondere dati turistici solo in formato PDF …]

“In definitiva”, si legge nel testo, “la direttiva si prefigge quindi di mettere in moto un mutamento culturale nel settore pubblico creando un ambiente favorevole ad attività a valore aggiunto connesse al riutilizzo di risorse di informazione pubbliche”.

La situazione in Italia

Tale mutamento corrisponde esattamente a quanto più volte auspicato per l’Italia: una semplice norma, infatti, spesso non basta; la parte più difficile, e imprescindibile, riguarda proprio l’evoluzione culturale della nostra società.

Questa esigenza è già stata rilevata in più occasioni. Parlando di accesso alle informazioni pubbliche, e riportando, ad esempio, le esperienze di una studentessa che ha faticosamente cercato di far valere il suo diritto di accesso a informazioni di natura ambientale avvalendosi della Convenzione di Aahrus. Ma anche parlando di Data Journalism all’italiana (qui, qui e qui), in seno al dibattito ancora vivo suscitato dalla presentazione dell’e-book curato da LSDI “Open Data – Data Journalism. Trasparenza e informazione al servizio delle società nell’era digitale”.

Ma come stiamo messi in Italia in materia di dati aperti e accesso alle informazioni pubbliche? Sul fronte dell’Open Data, dopo la recente inaugurazione (piuttosto in sordina) del portale www.dati.gov.it, sono ancora latitanti le rappresentanze del mondo giornalistico e politico. Se si esclude il lavoro (encomiabile per pionierismo e autosufficienza) delle associazioni, infatti, l’unica iniziativa in materia è la mailing list appena nata che riunisce la “piccola, ma crescente, comunità di interessati al giornalismo dei dati”. Ancora troppo poco, se si considera la totale assenza delle redazioni e delle istituzioni giornalistiche dalla partita. E il silenzio siderale del mondo politico.

Stesso discorso per l’accesso ed il riutilizzo delle PSI, nonché per la possibilità di un FOIA che parli italiano.

Proprio la Commissione europea, nel 2009, aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia “per incompleto e scorretto recepimento della direttiva UE relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico”. Tale procedura è stata chiusa il 30 settembre 2011 con l’introduzione dell’Articolo 44 della Legge 96 del 4 giugno 2010 (che modifica la Legge 36 del 24 gennaio 2006).

La normativa in merito all’accesso, invece, sembra essere ancora oggi materia di contesa. La restrizione di “un interesse diretto, concreto e attuale” imposta dalla Legge 241 del 7 agosto 1990, è stata superata con l’adozione del Decreto Legislativo n. 150/2009, la cosiddetta Legge Brunetta, con particolare riferimento all’Art. 4.

Tale legge  è stata poi sostituita (nel Collegato-Lavoro: legge n. 183/2010, art. 14) con una formulazione più precisa, nata anche questa da un emendamento bi-partisan, concordato dal Relatore Maurizio Castro con lo stesso Sen. Ichino durante la discussione della legge in Senato.

Infine, il D.Lgs. n. 235/2010 (decreto correttivo al Codice dell’Amministrazione Digitale), legittima la liberazione dei dati pubblici decretandone “l’accessibilità totale” nonché la fruizione “in formati aperti” al fine di promuovere “progetti di elaborazione e di diffusione dei dati pubblici”.

Il condizionale resta ancora d’obbligo visto che i principi della legge in materia di trasparenza della Pubblica Amministrazione non trovano ad oggi sufficiente applicazione. “La Legge c’è”, scrivevamo già sul nostro e-book, “ora occorre che gli italiani se ne accorgano e che qualcuno la utilizzi”.

Tuttavia, alla luce delle evoluzioni registrate dalla stesura dell’e-book ad oggi, si potrebbe addirittura pensare alla richiesta di una nuova legge in materia, chiara e snella, che accorpi il concetto di accesso alle informazioni pubbliche (FOIA) e la cultura dell’Open Data.

Una simile richiesta rischia di sembrare fantascientifica in un contesto da età del bronzo come quello italico, mentre è invece realisticamente al vaglio delle autorità britanniche in materia, secondo quanto dichiarato da Nigel Shadbolt (fautore, insieme a Tim Berners Lee, dell’Open Governement made in UK) a Guido Romeo in un’intervista per Wired Italia.

Eppure, l’Italia si trova nel mezzo di un crocevia importantissimo per il suo futuro, guidata da un governo tecnico incaricato di impostarne lo sviluppo secondo i principi di una sana e robusta Costituzione. Quale momento più propizio per richiedere una leggina semplice semplice che, senza lacrime né sangue,  senza sacrifici ne artifici, ci consentirebbe un incredibile balzo in avanti in materia di trasparenza, innovazione e sviluppo? Non dovrebbero andare proprio in questa direzione di discontinuità gli interventi di un Governo come quello Monti (nato in provetta e con il timer azionato, giusto il tempo per scuotere e risollevare il Paese)?

Sembra fantascienza, ma sarebbe soltanto la normalità. Nient’altro che una giusta misura che ci consentirebbe semplicemente di equipararci a molti Paesi civilizzati, che già da anni hanno intrapreso la strada della trasparenza e della partecipazione civica alla cosa pubblica, sapendola poi reintepretare e declinare in ambito di sviluppo socio-economico.

La situazione negli USA

Negli USA, ad esempio, dove il FOIA è legge dal 1967, il primo provvedimento dell’Amministrazione Obama è stato il Memorandum sulla Trasparenza e l’Open Government (21 gennaio 09), che “inaugura una nuova era di apertura e responsabilità pubblica”, intesa a colmare la distanza tra i cittadini americani ed il loro Governo.

A stretto giro (8 dicembre 2009), poi, è stata emanata la Open Government Directive, che richiede alle agenzie federali di adottare misure immediate e specifiche per il raggiungimento di obiettivi chiave in materia di trasparenza, partecipazione e collaborazione.

Nel settembre di quest’anno, infine, è stato adottato il National Action Plan on Open Government, un nuovo strumento legislativo che si rivolge agli innovatori americani al fine di favorire la creazione di nuovi posti di lavoro attraverso le politiche di Open Government.

Conclusioni

Probabilmente gli attori della politica italiana hanno sempre letto un copione diverso. Eppure parliamo di Barack Obama, non di Tom Cruise. Non si tratta di una Mission Impossibile – anche se, in un Paese dal senso civico non spiccatissimo, simili sfide per essere vinte dovrebbero almeno contare sul ruolo attivo del giornalismo. Ma tant’è. Noi, evidentemente, di estrazione cattolico-romana, preferiamo lacrimare, e sanguinare. Ad abundantiam.

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Per approfondire

La Commissione europea, in materia di informazioni del settore pubblico, ha prodotto i seguenti studi:

A review of recent studies on PSI re-use and related market developments, by Graham Vickery.

An “Assessment of the different models of supply and charging for public sector information” Executive Summary, Models of Supply and Charging for Public Sector Information, Apps market snapshot, Open Data Portals.

A study on PSI-re-use in the cultural sector.

Impact Assessment accompanying the proposal for Directive amending Directive 2003/98/EC on the re-use of public sector information:

Full Report, Opinion of the Impact Assessment Board.