Internet senza miti: un’ altra storia della Rete

Crisi

Il tempo dei media non è quello della democrazia, ma è quello del commercio e dello spettacolo: la storia di internet, la storia vera, non la mitologia che si continua a diffondere a piene mani, lo sta dimostrando – In una lunga confessione su Novision, Narvic ricostruisce l’ evoluzione della Rete e il fallimento delle narrazioni che la vedevano come una ”seconda possibilità” per il giornalismo – Internet non ha aperto affatto una ”nuova era dell’ informazione” e non è stata la chiave per rovesciare l’ ”ordine mediatico”: alla fine, non offre niente che possa aiutare realmente a comprendere come va il mondo e a contribuire all’ emancipazione del cittadino quando è il momento del voto – Per i giornalisti tutto è perduto: non vedo per loro altro futuro che quello di ‘’addetti al trattamento editoriale in contesto commerciale’’ – Ma per l’ informazione non è detto che sia suonata la campana… – Fra gli interstizi della rete, dove  i media non vanno, si intravedono delle cose che accadono, dei piccoli avvenimenti che si producono, dei pezzi di realtà che appaiono e che potrebbero forse diventare importanti, o forse lo sono già, o forse no – Un uso ‘’discreto’’ della rete per chi si è ‘’ritirato’’ dalla  società del consumo e si prepara ad affrontare ‘’tempi difficili’’

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Une autre histoire de l’internet, à la veille des temps difficiles…

di Narvic
(Novovision)

(…) Internet, la ”rete delle reti” (inter-net significa ”interconnessione delle reti, dei network”) è stata concepita per sfuggire a ogni controllo, a ogni censura e a anche a ogni sorveglianza… O, per lo meno, così sosteneva ”una certa storia di internet” che, a mio avviso, è in larga parte una mitologia. Una bella storia, non totalmente falsa, ma certo non totalmente vera e la cui ”verità” non bisogna assolutamente prendere alla lettera.

Rete libertaria ”per natura”, perché non centralizzata, ritenuta in grado di resistere anche a un attacco nucleare, e in grado di continuare a funzionare e ad assicurare la continuità delle comunicazioni anche quando una parte delle infrastrutture fossero distrutte: rete inattaccabile, incontrollabile, indistruttibile… Epifania di una ”entità” libera, universale ed eterna. Nascita del cyberspazio

La Dichiarazione d’ indipendenza del cyberspazio, pubblicata da John Perry Barlow nel 1996, un testo tutto sommato molto bello, percorso da un soffio libertario, un bello stile e una innegabile poesia, è come un simbolo, una illustrazione perfetta, di questa mitologia di un internet che irriga, sin dall’ origine, l’ immaginario di tanti adepti incondizionati di questa rete delle reti:

« Governi del mondo industriale, stanchi giganti io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della Mente. A nome del futuro, chiedo a voi, esseri del passato, di lasciarci soli. Non siete graditi fra di noi. Non avete alcuna sovranità sui luoghi dove ci incontriamo’’.

Le speranze più folli si sono nutrite di questa mitologia. Internet è la ”nuova frontiera”, il cui attraversamento ci apre la visione di un ” nuovo mondo”. Internet è un nuovo Far west. La forza che è racchiusa in questa immagine della ”nuova frontiera”, profondamente e nell’ intimo, nello spirito di un americano, sfugge forse alla gran parte degli europei (o dei cinesi o degli indiani, d’ altronde), radicati come siamo in una storia millenaria, mentre rinvia per gli americani alla conquista del West, alla Nuova Fromntiera di John Kennedy, nel 1960…

Questa ispirazione è tipicamente e specificamente americana al punto che ogni presidente degli Stati Uniti cerca instancabilmente di rinfocolarla in tutti i modi possibili, dalle ‘’Guerre stellari’’ di Ronald Reagan, alle « Autostrade dell’ informazione » di Al Gore, sotto Bill Clinton, e fino alla conquista di Marte, con George Bush II, e non smette di espandersi su tutto il pianeta in quelli più influenzati dalla cultura popolare americana.

Questa mitologia della ‘’nuova frontiera di internet’’ ha quindi attraversato l’ Atlantico, imboccando i cavi transoceanici o i collegamenti satellitari che formano l’ infrastruttura intercontinentale di questa interconnessione di reti. E pochissimi hanno sottolineato fino a qual punto questo cammino contraddiceva l’ idea stessa, in realtà falsa, di una internet totalmente diffusa  e decentralizzata che era invece al cuore di quella ‘’visione’’.

Un semplice cablogramma diplomatico, rivelato nei giorni scorsi da WikiLeaks, ci ricorda a qual punto, ad esempio, questa infrastruttura è in realtà vulnerabile, perché super-centralizzata: i punti di arrivo di questi cavi transoceanici – a Lanion, Plérin o Saint-Valery-en-Caux – son dei ‘’siti sensibili da proteggere’’ secondo il governo degli Stati Uniti, perché sono dei veri talloni d’ Achille di quella rete ritenuta indistruttibile.

Gli attacchi orchestrati recentemente contro il sito di Wikileaks, per renderlo inaccessibile alla maggior parte degli internauti o impedire di finanziarsi, ci ricordano anche fino a qual punto sia mitica l’ idea secondo cui la pubblicazione su internet sfuggirebbe a ogni censura  (Julian Assange: ‘’Interessante vedere come funzioina la censura in Occidente’’).

I ‘’talloni di Achille’’ della rete delle reti, queste strozzature centralizzate che ne permettono il controllo sono innumerevoli e la loro esistenza spazza via completamente la mitologia di un ciberspazio irriducibile ai controlli e indistruttibile per natura: sono le ‘’dorsali internet’’ (backbone in inglese) di cui i cavi transoceanici non sono che un esempio; è la gestione stessa dei nomi dei dominii, il cuore del funzionamento di internet, che viene assicurata per l’ insieme della rete da 13  server radice (e tredici solamente) che rispondono ad un organismo unico, l’ ICANN, che, in ultima istanza, dipende dall’ autorità del governo federale americano…

I governi di tutti i paesi, nel timore di perdere il controllo di quel cyberspazio che minacciava di sfuggire loro, non hanno tardato a scovarne degli altri di quei talloni d’ Achille: la Cina e la sua ’grande muraglia elettronica’’ (e l’ Iran, l’ Arabia Saudita, la Tunisia, etc.), fino al governo francese (fra gli altri) hanno identificato come il principale ‘’punto debole’’ di tutta la rete fosse semplicemente quel pugno di fornitori di accessi a internet, le cui infrastrutture sono tutte ‘’fisicamente’’ situate sul territorio nazionale e soggette interamente alla sua giurisdizione.

Questa ‘’storia di internet’’, diventata molto spesso una vulgata presso i più ferventi adepti e difensori della mitologia del cyberspazio libertario, è da rivedere in profondità.

C’ è ‘’un’ altra storia di internet’’ che è arrivato il momento di scrivere oggi…

La parentesi incantata, un’ altra storia di internet

Si potrebbe riprendere questa ‘’storia di internet’’ facendone l’ oggetto specifico di studio per ricostruire come questa mitologia si è formata, per identificare le fonti ideologiche a cui si è abbeverata. Ho già sottolineato alcune volte su questo blog che le strade imboccate in questa direzione da Franck Rébillard, in ’’ Le web 2.0 en perspective. Une analyse socio-économique de l’internet’’, sono molto feconde: è dalle parti della ‘’rete come vettore di una orizzontalità egualitaria secondo Saint-Simon’’, della ‘’libera comunicazione come ideale sociale in Wiener’’ (e la cibernetica), e della ‘’autonomia della creazione come valore del nuovo spirito del capitalismo’’ (Boltanski/Chiapello), che bisogna cercare le fonti di questa ‘’ideologia della rivoluzione internet’’. E anche, l’ ho detto prima, nella mitologia della ‘’nuova frontiera’’ americana, che spiega come queste fonti si siano fuse, da qualche parte della Silicon Valley, in California, dando vita a un precipitato sotto una forma ‘’liberale/libertaria’’ che, vista dall’ Europa, mescola insieme confondendoli tutti i punti di riferimento ideologici  che distinguono la destra dalla sinistra…

Ma si può anche procedere diversamente e tentare di proporre una storia ‘’alternativa’’ a questa vulgata liberale-libertaria e totalmente tecnocentrica dell’ emancipazione per grazia del ciberspazio…

Questa storia non comincerebbe con l’ invenzione del primo computer, la prima connessione di due computer in rete, la prima connessione di due reti di computer, la prima volta che un computer è stato connesso a un telefono, né con l’ invenzione del web da parte di Tim Berners-Lee fra il 1989 e il 1991… Questa storia comincia quando questa sperimentazione, sviluppata in origine da militari e ricercatori universitari, ha completamente cambiato la propria natura, quando l’ accesso al pubblico si è aperto a tutti, nella prima metà degli anni Novanta…

Dopo, le cose sono andate abbastanza velocemente, ma si può suddividere il tutto in tre periodi decisivi: prima del 1995; 1995-2010; dopo il 2010.

Prima del 1995 è stato il tempo delle sperimentazioni e dei tentativi, quando si mette in campo questa fantastica ”convergenza” delle tecnologie dell’ informatica con quelle delle telecomunicazioni. Se ci si ferma solo sul piano della storia delle tecnologie, d’ altronde, la vera ”rivoluzione” tecnica, il ”momento decisivo”, si situa ben più in questa ”convergenza” del computer e del telefono che nella sola apparizione di internet, che ne è una conseguenza, fra le altre (basta pensare al sistema di pagamenti bancari, che non passa affatto attraverso internet).

Il periodo 1995-2010, è il momento in cui questa ”convergenza” ha cominciato a produrre degli effetti socio-economici considerevoli; quando, per parafrasare Jeremy Rifkin, internet è entrata nella ”età dell’ accesso” per diventare un fenomeno sociale di rilievo dell’ economia e della stessa civiltà contemporanea.

Si potrà cercare nel digitale come si è snodato il processo. Il merito di Didier Lombard, l’ ex PDG di France Télécom nel suo libro del 2008 « Le village numérique mondial. La deuxième vie des réseaux » (Odile Jacob), è di riconoscere che il processo non è tanto tecnico (e certamente non politico, o filosofico-mistico) quanto frutto di una operazione puramente commerciale, che nasce dal mondo del marketing.

L’ obbiettivo era di fare di internet un oggetto di consumo di massa, di farne un relè di crescita per un intero settore economico dell’ industria e dei servizi legati all’ informatica e alle telecomunicazioni. A 15 anni di distanza è innegabile che è stato un formidabile successo commerciale!

L’ accesso a internet si è espanso con una rapidità sconosciuta per gli altri strumenti tecnologici come la radio, la televisione o il telefono. In una quindicina di anni, quasi tutte le abitazioni francesi sono collegate a internet a banda larga. (…)

Si apre ora un nuovo periodo, quello dell’ internet mobile, che è solo ai suoi inizi, e quello della banda ultra-larga, attraverso la fibra ottica ad esempio, che comincia a balbettare (le prime pubblicità per internet a fibra ottica sono apparse in televisione solo quest’ anno, nel 2010).

Fibra ottica e mobile aprono veramente un nuovo periodo, come sottolinea ad esempio Didier Lombard, che parla di ”seconda vita delle reti”, perché le condizioni economiche cambiano molto profondamente rispetto al periodo precedente. La prima era di internet, che si conclude in questo momento, è stata in effetti l’ ”età del rame”, quella dell’ accesso a internet per mezzo della rete di fili di rame che copre pressoché tutto il territorio e che è stato realizzato progressivamente dopo la seconda guerra mondiale per far accedere al telefono tutte le abitazioni. Per questa ”seconda vita delle reti” le nuove reti sono ancora tutte da costruire… e finanziare. (…)

Bisogna insistere su questo punto. Internet è arrivata nelle case per mezzo di una rete fisica, quella del telefono, che già esisteva prima della sua comparsa… ed era già ampiamente ammortizzata. E’ la ragione per cui è stato possibile proporre l’ accesso a internet per tutti a bassi costi, se non del tutto gratuitamente. Ricordatevi, quelli che hanno l’ età per ricordarsene, che non è stata una conquista al primo colpo.

Internet1

Ho raggruppato alcune delle pubblicità diffuse in televisione dai fornitori di accesso a internet alla fine degli anni 90 (l’ antologia è qui). Ricordatevi che se i fornitori d’ accesso, a quel tempo, si chiamavano tutti Free, Freenet, LibertySurf, ecc., e se nei loro spot ora non fanno altro che vantare l’ accesso ”libero” e ”gratuito” a internet, questa non era affatto la regola nei primi tempi dell’ apertura di internet a tutti.

E’ interessante notare che se, nello spirito di una buona parte della gioventù di oggi, internet appare come una rete quasi ”intrinsecamente” aperta, libera e gratuita (alcuni pretendono addirittura che questa sarebbe la sua ”natura”. Già, lo leggo ancora regolarmente…), abbiamo avuto accesso a internet, all’ inizio, solo attraverso delle reti totalmente chiuse, riservate e a pagamento, come Compuserve o AOL! Che interponevano fra internet e la gente un passaggio intermedio, una interfaccia digitale proprietaria, la cui logica era quella del club privato e non certo quella dell’ accesso libero. (…)

Non era nei progetti dei fornitori di accesso di proporre un servizio aperto, libero e gratuito, anche se l’ utilizzo di infrastrutture già ampiamente ammortizzate permettesse loro di farlo a basso costo. L’ hanno fatto contro voglia, per restare in gioco quando Free.fr aveva brutalmente cambiato le regole del gioco iniziale della concorrenza, inventando l’ ”accesso gratuito”. E quando poi è arrivata la tecnologia dell’ ADSL, che permetteva un considerevole aumento della banda sullo stesso doppino telefonico, la regola del gioco commerciale è cambiata ancora. E’ in quel momento che nasce davvero l’ internet di massa.

Anche se ci si ricorda ancora i primi tempi di questa ”internet gratuita”, ma in realtà non era affatto così. Internet non è mai stata gratuita per nessuno!

Free.fr ha certo inventato internet senza abbonamento… ma bisognava sempre pagare il tempo di connessione telefonica a France Telecom! La vera rivoluzione dell’ accesso a internet, quella che ha portato la diffusione di massa del servizio, non è mai stata quella di una pretesa gratuità, ma quella del forfait! La fine del pagamento a tempo e l’ avvio dell’ uso illimitato del collegamento a 29,90 euro al mese, connessione telefonica compresa (una tariffa che, notiamolo, avrebbe ”tenuto” fino ad oggi, quando vi si dice che siamo sul punto di cambiare periodo…).

La mitologia della gratuità. Tutti, o quasi, sono passati al forfait a 29,90 euro al mese, ma la mitologia della gratuità è rimasta saldamente ancorata nel nostro spirito.. Il fatto è che i fornitori di accesso non hanno smesso di arricchire la loro offerta, senza modificare di un centesimo il prezzo dell’ abbonamento: telefonia via internet, televisione, ecc. I fornitori di accesso hanno anche deliberatamente incoraggiato questa mitologia della gratuità di internet utilizzando l’ argomento del download di musica o di film per fare la promozione dell’ alta velocità sempre più potente che permette lo sviluppo della tecnologia ADSL. C’ è bisogno di sottolineare che questi stessi fornitori di accesso sapevano molto bene che la maggior parte del download era roba scaricata illegalmente, perché protetta dal diritto d’ autore?

La comparsa di nuovi servizi su internet, apparentemente gratuiti, rafforza ancora di più questa mitologia. Google ne è l’ illustrazione più chiara: nessuno dei servizi di Google è in realtà gratuito perché l’ azienda si finanzia con la pubblicità e la pubblicità, in fin dei conti, è sempre il consumatore che finisce per pagarla (anche se è quasi invisibile e indolore…).

La truffa del Web 2.0. E citiamo anche lo sviluppo, nella prima metà degli anni 2000, della vera truffa intellettuale – e commerciale- del ” Web 2.0″. Ricordiamo che il ”concetto” di Web 2.0 non è certamente nato negli ambienti degli hacker, della programmazione libera, dei partigiani disinteressati dell’ internet indipendente e non commerciale. Nasce invece, al contrario, direttamente dai giganti della Silicon Valley e dalla nebulosa di start-up che li circonda: non si trattava che di una campagna commerciale per rilanciare l’ economia di internet, dopo le grosse ferite provocate dall’ esplosione finanziaria della bolla di internet attorno agli anni 2000.

Il Web 2.0 ha fatto così l’ apologia della partecipazione on line di tutti, della generalizzazione dei contenuti creati dagli utenti (il cosiddetto UGC), del regno dell’ amatore, dell’ interazione, dello scambio e della condivisione online, di tutti e di qualunque cosa che si potesse scambiare e condividere. In questo non c’ era assolutamente niente di nuovo che internet non permettesse già sin dalla sua origine. Ma era solo una ”ispirazione” di marketing. Un qualcosa che, beninteso, doveva mettere in guardia chi già navigava da un po’ di tempo, ma i nuovi venuti ci hanno visto solo grandi novità. Ma andava bene così, era proprio a loro che il messaggio era indirizzato.

Che importava se c’ era uno sfasamento fra il ”messaggio” del web 2.0 e la realtà di questi nuovi utenti, che arrivavano in massa su internet proprio in quel momento? Che importava se la ”partecipazione” su internet non è mai stata altro che un fenomeno ultra-minoritario, quasi marginale? Il fatto che in materia di ”condivisione” questi nuovi utenti hanno sempre preferito in massa scambiare le produzioni dei professionisti della musica o del cinema piuttosto che le loro produzioni di utenti? Che la libertà di espressione di tutti su internet sia molto spesso monopolizzato dai giganti e confini di solito con la Legge di Godwin .  L’ obbiettivo era prima di tutto vendere! Sempre più materiali, più computer, più connessioni… e sempre più commercio online!

Vendere, vendere, vendere! Il messaggio libertario degli inizi di internet avrà dato luogo in fin dei conti a un formidabile recupero pubblicitario e commerciale, che oggi finisce per annegare totalmente e marginalizzare, in questo web di massa, ciò che questa cultura iniziale aveva di autenticamente innovativo ed emancipatorio. «Sognavamo il web sociale…ma non quello di Facebook”.

Il tempo dei media e il mondo sotterraneo degli invisibili

Ho sempre cercato in questo mio blog di capire, con una ricerca quasi in diretta, quale sarà l’ avvenire del giornalismo e dell’ informazione al tempo di internet. Devo riconoscere oggi che non l’ ho capito. O piuttosto, quello che ho trovato è che il giornalismo non aveva, secondo me, nessun avvenire online, e che per l’ informazione non sarebbe andata meglio!

Ho sognato per un momento che internet potesse essere una ”seconda possibilità” per il giornalismo come lo concepivo io, e che la rete delle reti avrebbe aperto una ”nuova era dell’ informazione”. Oggi non ci credo più.

E non credo affatto che internet possa essere un mezzo per rovesciare l’ ”ordine mediatico”, quello dei media di massa, dell’ informazione mainstream, che del mondo non rinvia altro che l’ immagine di un vasto spettacolo superficiale e commerciale e che in definitiva non è niente altro che un’ appendice di questa società del consumo. Niente, o quasi, in tutto questo ha a che fare con quella pedagogia dell’ attualità che sono per me il giornalismo o l’ informazione. Niente che aiuti realmente a comprendere come va il mondo e a contribuire all’ emancipazione del cittadino quando è il momento che bisogna andare a votare.

Per un momento si era aperta su internet una sorta di parentesi incantata. Ma oggi si è quasi richiusa. Se internet mi ha dato per un attimo la sensazione, e la speranza, di sfuggire al ”tempo dei media di massa”, è perché quest’ ultimo semplicemente non l’ aveva ancora completamente coinvolta. Ormai lo ha fatto pienamente e, invece di fornire un rimedio a questa mala informazione che corrode la democrazia, internet contribuisce al contrario ad accentuarne tutti i difetti.

Ciò non si vedeva affatto ai tempi dei primi media di massa, quello dei giornali su carta che si sono sviluppati nella seconda metà del 19° secolo (anche se, guardandoli più da vicino…), ma è diventato evidente con la radio e poi con la televisione, nella seconda metà del 20° secolo, e ora con internet… nel 21°: i media di massa non esistono per diffondere l’ informazione e permettere ai cittadini di partecipare al gioco democratico; sono là per formare dei consumatori e permettere a dei clienti di partecipare al grande gioco della merce e del commercio.

Era ”scritto” nei loro ”geni”, fin dalla nascita: i media di massa sono nati dall’ improbabile matrimonio fra informazione e pubblicità, a partire dal 19° secolo. Difatti, questo matrimonio è subito apparso per quello che era, cioè contro natura, e si è cercato di salvarlo da questa trappola mortale, se non l’ informazione stessa per lo meno le apparenze, instaurando quella famosa e invalicabile ”muraglia cinese” fra l’ informazione da una parte, la comunicazione, la promozione e la pubblicità dall’ altra. E’ una illusione, fin dall’ inizio, e con internet le apparenze non reggono.

Il ”tempo dei media” non è quello della democrazia, è quello del commercio. Non metto in dubbio la buona fede o la buona volontà dei giornalisti, impegnati allo stremo (per lo meno la maggior parte di loro, certo ci sono anche dei collaborazionisti…) in questo gioco degli inganni. Per la natura stessa del loro finanziamento essenzialmente pubblicitario, i media di massa non hanno altra strada che rivolgersi a una clientela di consumatori, e non a un pubblico di cittadini. Il giornalista onesto e coscienzioso potrà sempre sforzarsi di fornire anche dell’ informazione a questo consumatore, ma il suo media è fatto in modo da selezionare automaticamente, da sé stesso, l’ audience in modo da indirizzarsi solo a dei consumatori, a quelli che sono sensibili alla pubblicità (e che possono comprare) e non agli altri, anche se sono dei cittadini. Non è per niente redditizio, sul piano economico, per un media di massa rivolgersi a un pubblico diverso da quello che la pubblicità è pronta a finanziare.

Spesso è stato rimproverato all’ antico padrone di TF1, Patrick Le Lay, di aver riconosciuto con schiettezza che il suo mestiere era di ”vendere alla Coca-Cola del cervello umano disponibile”. Con questa ammissione ha dato prova di franchezza e onestà, perché senza Coca-Cola non avrebbe potuto far altro che chiudere TF1 e gettare la chiave, andandosene in disoccupazione con tutti i dipendenti della sua azienda, giornalisti compresi.

Si può constatare tutti i giorni il risultato disastroso del funzionamento quotidiano di questa macchina mediatica infernale: mantenere lo spettatore in stato permanente di disponibilità alla distrazione, non fermarsi mai su niente, non concentrarsi su niente, non fare alcuna gerarchia, mettere tutto sullo stesso piano, tutto ha lo stesso valore, niente è importante, chiodo scaccia chiodo, domani è un altro giorno e la festa continua.

Bisogna dare sempre la priorità alla futilità delle novità rispetto alla noiosa ripetizione di ciò che è importante. Ma poiché è ricorrente, quello che è importante finisce per accumularsi. E allora bisogna parlarne prima che si sedimenti e diventi inevitabile e invada lo spazio con la sua noia, rovinando l’ atmosfera della grande festa consumistica permanente. Allora ci si dedica a sbrigare, a piccoli pacchetti, il più velocemente possibile, queste realtà che rovinano la festa, annegandole in tutto il resto per ingoiare meglio la pillola.

E non c’ è bisogno di immaginare chissà quale complotto, odiosa cospirazione, per capire come questo sistema ha potuto radicarsi. Ciascun giornalista, nel suo proprio media, non può fare altro che riconoscere a quale ‘’clientela’’ la sua testata si rivolge. E se non vuol perdere il pane, non può fare altro che adattarsi… o andare a vedere altrove. E’ la dura realtà del commercio, e di un mercato del lavoro che non ha mai visto il numero dei disoccupati scendere sotto i milioni di persone da almeno 30 anni. Ai tempi del pieno impiego c’ era almeno qualche margine, si poteva ancora resistere ed essere coraggiosi. Ma è da molto tempo che quel tempo nelle redazioni è finito.

Nel suo lavoro quotidiano ogni giornalista di un media finanziato dalla pubblicità sa bene che la sua attività è di natura commerciale. Ma non bisogna dirlo, bisogna mantenere il mito dell’ informazione. Così come bisogna mantenere il mito della pubblicità: non riconoscere mai che la pubblicità è una semplice menzogna, dire sempre che essa vende dei sogni, oppure – osiamo? Perché no? – che essa stessa è informazione! Non bisogna rompere lo charme, se no le cose non vanno, e il principe affascinante torna ad essere il rospo che in realtà non ha mai cessato di essere

Su internet le cose vanno allo stesso modo, anche se in peggio. La dipendenza dalla pubblicità è ancora più forte perché l’ audience è ancora più volatile e incostante. Per il momento non è redditizio: i media di massa online non riescono ancora a trovarla questa clientela che interessa i pubblicitari. E questa clientela non si interessa a loro perché non ha neanche più bisogno di passare attraverso i loro intermediari per crogiolarsi voluttuosamente nell’ orgia di consumo. Va diritta allo scopo, questa audience, direttamente sui siti commerciali, senza passare per la casa mediatica. Se cerca dei consigli per essere guidata nei suoi consumi, non ha più bisogno di intermediari e trova sui siti commerciali stessi i pareri dei suoi pari, metodicamente filtrati e classificati dagli algoritmi e dai motori di ricerca. E questo le basta. Anzi avrebbe la tendenza a preferire ciò. Forse anch’ essa, al fondo, la clientela, non ci ha mai creduto, non più che alla ”grande muraglia cinese”.

Ilike

In ogni caso essa non si distrae dalla sua orgia consumista online se non per divertirsi, giocare, intrattenere le sue relazioni sociali, eventualmente gettare un colpo d’ occhio sulle notizie, ma unicamente una informazione da ultime notizie, l’ essenziale in breve, per essere aggiornati. Un buon ”cannone di notizie di agenzia” le basta e avanza. In linea non mancano, ce ne sono dappertutto. Non costa molto fabbricarli, ma porta molto in cassa. Non saranno questi a sfamare molti giornalisti. D’ altra parte, questo sdarebbe ancora del giornalismo?

Allora, tutto è perduto? Per i giornalisti ho paura di sì. Non vedo per loro altro futuro che quello – l’ ho già detto più volte – , di addetti al trattamento editoriale in contesto commerciale. Ma per l’ informazione non è detto che sia suonata la campana… Una cosa mi sembra al contrario acquisita, ed è tanto più vera con internet: non è più nello spazio mediatico che si gioca la partita dell’ informazione, e forse neanche nello spazio pubblico (ma l’ uno e l’ altro non sono la stessa cosa?). La partita si gioca in un mondo invisibile e sotterraneo, sotto la superficie del velo mediatico che ricopre oggi tutta la realtà. Ancora una storia di mappe e territori (rileggere Borges, e Baudrilard, e anche Houellebecq).

E’ là che bisogna guardare se si vuol vedere qualcosa. Ai margini, negli interstizi delle reti. Là dove, giustamente, i media non vanno… E’ là che si intravedono delle cose che accadono, dei piccoli avvenimenti che si producono, dei pezzi di realtà che appaiono e che potrebbero forse diventare importanti, o forse lo sono già, o forse no…

Negli interstizi delle reti, alla ricerca di quelli che si preparano per i tempi difficili…

Oggi lo devo confessare: ho vissuto un momento in cui avevo la segreta speranza che uno spazio mediatico specifico di internet stesse là là per emergere, che avrebbe proposto una alternativa allo spazio mediatixco precedente, quello da cui non vedevo l’ ora di fuggire. Ho pensato che si poteva operare su internet una sorta di sostituzione. Ma mi sono sbagliato. Lo spazio mediatico di internet non è diverso da quell’ altro, non è altro che il suo prolungamento, in peggio.

Non accade niente. Sia nei ”siti dei media” che in quelli ”dei giornalisti”, nei forum o nelle sfilze di commenti che si susseguono, così come in quella parte della blogosfera o in quei cosiddetti siti ”alternativi”, collegati a quei media, di cui non sono che una sorta di escrescenza, alla maniera della chimera di Baudelaire, che riciclano la stessa materia e non mescolano che del vento, non producono altro che schiuma… Tutto ciò è senza importanza e senza conseguenze. Un flash radio la mattina, un telegiornale la sera mi bastano per l’ intera giornata. Quell’ internet così non mi insegna niente che io non sappia già.

Ho finito quindi per dirmi che se avevo questa sensazione di essermi ingannato, di non aver trovato, è forse perché ero nella situazione di chi ha perso le chiavi in una notte senza luna e le cerca sotto un lampione, perché è il solo posto illuminato. Ho finito per dirmi che quello che io cercavo avrebbe potuto stare proprio là dove non c’ era luce, che la luce avrebbe potuto anzi farlo svanire, e dunque che non avrei mai visto veramente. Si poteva appena aver sentore, nel fascio della torcia, solo di una immagine estremamente fugace che ci sfugge non appena si crede di averla catturata.

Le Cevennes dalle parti di Tarnac
Le Cevennes dalle parti di Tarnac

Questa intuizione mi è venuta per la prima volta in occasione della vicenda di Tarnac (alcuni episodi di danneggiamento della linea ad alta velocità, il TGV, fra l’ ottobre e il novembre 2008, che avevano portato il ministero dell’ interno, poi smentito, a parlare di sabotaggi da parte di gruppuscoli di ultrasinistra oscillanti verso il terrorismo, ndr). Me ne sono interessato prestissimo su questo blog e non ho smesso di approfondire le mie ricerche, in questa e in altre direzioni, e poi in altre ancora, visto che il filo che io tiravo era annodato ad altri fili e questi ultimi ancora ad altri, formando questa rete, o una piccola, una infima parte di quella rete che io cercavo e che mi sfuggiva perché io non cercavo all’ indirizzo esatto.

Mi sono interessato a « l’affaire » di Tarnac su questo blog come si fa con dei lavori pratici. Il mio obbiettivo iniziale era solo proporre una illustrazione concreta attraverso l’ esempio dell’ immensa capacità di internet di fornire informazioni a colui che le cerca, che le cerca veramente, e che sa come usarle. E’ quello che io chiamavo ”una inchiesta in pigiama”, per significare la grande possibilità aperta da internet di diventare, ciascuno per se stesso, il suo proprio giornalista. E questo aveva dato luogo nel gennaio 2009, a una inchiesta esclusiva di Novovision: Tarnac, ritorno sul fiasco di una indagine di polizia.

Dei ”media tradizionali” ci avrebbero messo dei mesi per arrivare alla stessa conclusione mia su questo ”affaire”. Un giornalista avrebbe scritto un libro intero cambiando solo un po’ l’ ordine delle cose. (…)

Non mi sono fermato a questo, avevo cose migliori da fare. Ho continuato a tirare i fili…

Ho cominciato a scoprire un mucchio di cose che accadevano su internet, che probabilmente non sarebbero mai accadute senza internet, oppure si sarebbero verificate in maniera diversa,e di cui im edia non parlano quasi mai. Dopo due anni che tiro questi fili – fino a consacrare alla fine la maggior parte del mio tempo disponibile a questa ricerca piuttosto che occuparmi di questo blog – ho finito per intravedere una specie di continente nero, un mondo sotterraneo che vive, prospera e si sviluppa ai margini dei media e sotto questo velo mediatico che ricopre la realtà oggi.

Non pretendo certo di avere per le mani lo scoop del secolo. Non c’ entra nulla. Né mi immagino per un istante solo di aver scoperto chissà che cosa che tutti gli altri avrebbero ignorato prima di me. Ho solo imparato un sacco di cose di cui i media non parlano mai. Non sono nascoste, basta cercarle…

Uno spazio discreto. Tutto ciò si trova da una ”qualche parte” su internet che è l’ esatto opposto di quello che viene considerato uno spazio mediatico, o uno spazio pubblico (in effetti si tratta della stessa cosa alla fine: lo spazio pubblico è lo spazio mediatico). Ma non è neanche uno spazio privato. E’ un immenso spazio che si dispiega su internet, uno spazio discreto, piuttosto che nascosto, che si situa… fra i due, fra il pubblico e il privato.

I fili che ho tirato, da parte mia, mi hanno condotto in delle direzioni particolari. Se ne avessi seguiti altri mi sarei trovato altrove… Ma non si tratta in realtà di un solo mondo, bensì di mondi multipli, che si rivelano solo quando li si esplora e di cui non si può mai capire quale sia l’ estensione totale. D’ altronde sono brulicanti, mobili, instabili e alla fine irraggiungibili. Ed è proprio per questo che questi mondi quasi volatili non esistono per i media, che li ignorano perché non sono capaci di raggiungerli.

Mi sono particolarmente interessato, ad esempio, a qualcuno di questi mondi che si tengono appunto ai margini di una società di fonte a cui esitano rispetto all’ atteggiamento da tenere: ritirata o ribellione? Non c’ è affatto da meravigliarsi se tali mondi sfugono ai media, ammesso che essi vi prestino una qualche attenzione: di fronte ad essi non potrebbero mostrare che un solo atteggiamento: ritirata o ribellione.

Alcuni degli abitanti di questi mondi discreti sono, ad esempio, dei pacifici giardinieri, che si limitano a coltivare il loro orto. Hanno trovato con internet un formidabile mezzo per entrare in contatto gli uni con gli altri, di condividere le informazioni, le esperienze, le tecniche, i ”consigli d’ amico”, di annodare amicizie che li portano a volte a incontrarsi ”dal vivo” e di scambiare dei semi che nelle reti commerciali sono introvabili e di cui a volte è perfino vietata la vendita, per degli oscuri motivi amministrativi, di cui vi risparmio i dettagli. E’ la loro piccola resistenza, conservare contro venti e maree un patrimonio botanico che senza di loro sparirebbe.

Un altro filo mi ha portato, altro esempio, verso il mondo degli auto-costruttori edili, persone che si costruiscono la casa da soli con le loro mani, in legno, in paglia oppure in malta, o anche con dei vecchi pneumatici, e a volte fanno appello alla buona volontà, pronti ad andare a dare una mano se c’ è bisogno all’ altro capo della Francia, se c’ è qualche rompicapo, e il piacere di fare conoscenza e diventare, forse, amici. A volte funziona, a volte no.. Ma alcuni fra di loro, probabilmente non tutti, lasciano online delle tracce, come dei sassolini che diventano dei segnali per quelli che vengono dietro e da queste esperienze traggono degli insegnamenti che daranno corpo ai loro tentativi successivi…

C’ è poi quel vasto e discreto mondo delle capanne e delle roulotte, un sacco di gente che non cerca altro se non un posto tranquillo da qualche parte nella foresta, senza chiedere niente a nessuno, ma che sono spesso braccati dalle norme urbanistiche e da quelli che le applicano in modo un po’ troppo pignolo. E allora devono cercarsi gli uni con gli altri e trovarsi per scambiare informazioni e organizzarsi. E trovano su internet un mezzo incomparabile per farlo e non se ne privano certo.

E poi ci sono ogni sorta di autarchici, survivalisti, peakisti, nuovi viaggiatori, decrescitisti o altri primitivisti, secondo i vari nomi che preferiscono assegnarsi e che a volte non si curano nemmeno di darsi. Un punto in comune che si ritrova facilmente fra costoro è il loro atteggiamento nei confronti di una società che essi ritengono in fase di perdizione, finita, usata, già perduta: più di ritirata che di ribellione. Si preparano già al ”mondo successivo”, che si farà con o senza di voi, ma non senza di loro.

Certo, in dosi più o meno massicce, c’ è del millenarismo in tutto questo. Alcuni lo esprimono, altri no, ma tutti… si preparano. Alcuni di essi hanno una parola chiave, che suona come un segno di raccolta: si preparano a dei ‘’tempi difficili’’. Alcuni sociologi delle religioni hanno già scovato le fonti di questo riferimento (da Charles Dickens a Giacchino da Fiore, passando anche spesso per  Henry David Thoreau), un segno di adunata che resta sempre molto discreto, quasi anodino per la maggior parte di voi, ma che molte persone, che voi non sospettereste, sanno decodificare senza dire nulla, al loro interno…

Tutto questo sembra virare verso le sette, è vero, quando si affrontano questi mondi complicati della new age, dei vegani ultravegetariani radicali, degli eco-guerrieri, della ecologia profonda e dell’ anarchia verde, che non  si dà altri obbiettivi, in parole povere, se non quelli di abbattere ‘’la civiltà’’ e che come un eroe alla Theodore Kaczynski, conosciuto meglio come Unabomber, messo fuori gioco con l’ accusa di diversi omicidi e rinchiuso da un po’ in una cella di massima sicurezza in qualche struttura  della Prison Valley.

Questo ci fa tornare a Tarnac, questo pacifico villaggio dell’ altipiano di  Millevache, nel Corrèze, che ho visitato in modo discreto a mia volta, un po’ di tempo fa, e in cui il nostro governo ha creduto di poter vedere per un attimo, mimetizzata in una piccola fattoria ai confini del paese, una sorta di scuola di terrorismo, un campo di addestramento per le truppe di questa ‘’Insurrezione in arrivo’’, e in cui io non sono riuscito a vedere altro che la realizzazione di un semplice programma ‘’post-nucleare’’: l’ unico modo di sopravvivere in questo ‘’mondo del dopo’’, alla Mad Max, è organizzarsi sin da ora attorno al trittico ‘’giardino, laboratorio, negozio di alimentari’’… E presto, certo, anche una segheria. Anche a Tarnac, sembra, ci si prepara… a ‘’tempi difficili’’.

E perché i media dovrebbero parlare di tutto ciò? Perché delle persone, provenienti da orizzonti tanto diversi e con delle giustificazioni così eclettiche, si preparano a dei ‘’tempi difficili’’; che interesse hanno queste persone, perché si dovrebbero mettere fuori gioco rispetto alla società del consumo e smettere di essere dei ‘’clienti’’? Si potrebbe cercare di convincerli con le minacce. Fatto, ma non ha funzionato. Farne degli animali da circo, da presentare in qualche spettacolo? Ma non sembra che siano molto collaborativi…

Allora, potrebbe essere interessante cercare di sapere oggi chi sono, perché sono così, quanti sono? La loro ‘’ribellione attraverso il ritirarsi’’ potrebbe fare scuola? C’ è una soglia sociale al di là della quale un ritiro massiccio dalla società dei consumi da parte di tutte queste varianti di ‘’adepti della decrescita’’, che disertano i centri commerciali, potrebbero – per il loro numero e il loro peso ‘’non economico’’ – far vacillare questa società?

‘’Hai un buon argomento, caro – mi sussurra già il capo redattore -. E’ parecchio torbido e può colpire. E’ roba che fa vendere questa, cocco mio…’’.

No, grazie, troppo poco per me. Io non mangio questo pane. E poi, soprattutto, so già bene che questa società è la prima a organizzare, essa stessa, il ‘’ritiro’’ massiccio – ma non volontario! – dalla società dei consumi di milioni di persone che condanna ogni giorno alla precarietà, all’ esclusione e alla povertà e che non si sente affatto minacciata di crollo…

Alla fine, forse, anche io mi sento meno tentato dalla ribellione che dal ritiro. E forse, a mia volta, mi vedrò bene ritirato in un luogo preservato dalla società, lontano dalla città, nella natura, per coltivare il mio giardino, preparando tranquillamente, nel mio orto… l’ arrivo dei tempi difficili.