Thinking the Unthinkable, Napoli e i giornalismi

Youcapital

Portare a Napoli, tra le migliaia di tonnellate di immondizia che riempiono i marciapiedi delle strade più belle del mondo, una discussione diversa, sui temi della cultura e del giornalismo, cercare di mettere in luce le energie positive di quella città che ogni giorno muore ed ogni giorno risorge. Questo è ‘’pensare l’ impensabile’’,  come recitava il titolo del convegno  che si è tenuto nei giorni scorsi  e di cui è ora disponibile un’ ampia documentazione – La registrazione di gran parte degli interventi, la cronaca del convegno  ed altro materiale sono nel documents repository dell’ evento – Qui una riflessione di Antonio Rossano.

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Perché siano chiare dinamiche ed obiettivi di questo incontro è necessario tornare un attimo indietro.

Una delle problematiche della comunicazione virtuale è oggi nel riuscire a materializzare la grande energia comunicativa disponibile in rete in qualcosa che poi prenda forme concrete e generi risultati reali.

E questo non è un elemento secondario o poco  significativo  in quanto, laddove le istanze civili, sociali e culturali che emergono dai social network e dalla rete non assumano la forma del coinvolgimento reale, del confronto e del dibattito, restando confinate nel contenitore virtuale  e morendo in quel luogo, la rete rischia di divenire un grande elemento di dispersione a discapito dei processi culturali e sociali che quelle istanze hanno generato.

Su questo vi è stato, non molto tempo fa,  un po’ di dibattito nostrano dove si è anche sostenuto che forse il luogo virtuale è “sovrapponibile” se non, in un certo senso, sostituibile a quello reale.

Certo, se così fosse, resta da chiedersi perché in certe regioni del nostro paese, laddove il dibattito virtuale è più ricco ed i processi culturali più avanzati, si registrano i più alti livelli di organizzazione e partecipazione di eventi culturali, sociali e civici “in persona”.

E perché in altre, da Roma in giù, si osserva una profonda carenza di momenti di confronto reali, di analisi di problematiche inerenti la cultura ed i cambiamenti che la tecnologia digitale sta innescando ai processi culturali. Si resta, nel mezzogiorno di Italia, profondamente legati a tematiche dibattimentali di sopravvivenza, quali la immondizia a Napoli, la ‘ndrangheta a Reggio Calabria, la mafia a Palermo.

Sicuramente le discussioni rappresentano le problematiche che sul territorio si verificano, quelle con cui la gente ha a che fare quotidianamente, le più pressanti. E non vi è dubbio che, in un paese dove le differenze economiche e sociali sono così forti e localizzate (benessere e agio in alcune regioni, povertà e miseria in altre), esista quindi una corrispondenza tra il territorio e tali confronti.

Ma non è proprio così.  Perché poi se a parlare di certe cose sono sempre delle elites, (immaginiamo che le discussioni sui cambiamenti del mondo dell’ informazione attengano sempre ad una ristretta minoranza di individui, non ce li vedo gli operai di Mirafiori a discutere della crisi dell’ editoria) allora la questione cambia.

Sconfiniamo forse nell’ antropologia o nella storia, ma inevitabilmente,  è necessario prendere atto del fatto che esiste una cultura dell’ emergenza e del colonizzato nella quale sono prigionieri milioni di meridionali cui si dà da leggere sempre la stessa storia. Quella del territorio senza speranze e senza futuro, ripiegato su se stesso.

Ecco da qui possiamo iniziare a parlare del convegno del 3 dicembre, “Thinking the Unthinkable”.

Pensare l’ impensabile, non è solo parte di un titolo di un articolo di Clay Shirky sulla crisi delle’ editoria, è stato il vero e proprio obiettivo di quell’ incontro.

Portare a Napoli, tra le 3000 tonnellate di immondizia che riempiono i marciapiedi delle strade più belle del mondo, una discussione diversa, sui temi della cultura e del giornalismo, cercare di mettere in luce le energie positive di quella città che ogni giorno muore ed ogni giorno risorge. Questo è pensare l’ impensabile.

Iniziare a ragionare a Napoli come se fosse un luogo normale, aprire il dibattito sulle questioni che stanno cambiando il mondo che ci circonda. Alzare lo sguardo sopra i cumuli della monnezza.

E questo, d’altra parte, è anche emerso fortemente nel dibattito: da Zambardino a Popolizio, da i ragazzi di Napoli Urban Blog a Francesco Piccinini, la necessità di spostare “fisicamente” le discussioni, ovvero basta piangersi addosso. Proprio perché più in difficoltà, dovremo essere più forti, urlare e ribellarci per la mondezza, ma competere e discutere per abattere il digital divide italiano ed il “cultural divide” della questione meridionale.

Francesco Piccinini, che fa AgoraVox Italia da Parigi, (torniamo alla necessità di una corrispondenza tra mondo virtuale e mondo reale) , ha annunciato il progetto di voler spostare la sede di AgoraVox Italia da Parigi a Scampia: ma vi rendete conto? Scampia! Quello che in termini cinematografici è il buco del culo del mondo.  E se anche Francesco non dovesse riuscire, non è stato questo forse un segnale, un piccolo pensiero impensabile? Non è sentire questi discorsi che genera fiducia,progettualità, speranza e voglia di costruire?

Zambardino si è soffermato sulla necessità, per i giovani giornalisti, di muoversi senza aspettare “il sostegno dall’ alto” , la vecchia piaga dell’ assistenzialismo che da sempre ha ridotto in schiavitù i terroni. Ed anche annunciato la seconda edizione del premio “Eretici Digitali” che, come lo scorso anno, avrà luogo nell’ ambito del Festival del Giornalismo di Perugia 2011. Zambardino, napoletano a Napoli…

Si sono poi sviluppate interessanti discussioni sul giornalismo online e sulle prospettive di questa professione, come illustrate da Vittorio Pasteris,  una delle persone con maggiore competenza (ed esperienza personale)  di quello che è stato il travaglio e la difficoltà di riconoscere, anche a livello istituzionale, questa nuova professione.

Una professione giornalistica che spesso confina e “sconfina” in altre professionalità ha spiegato Pasquale Popolizio, consulente dell’ Università Federico II di Napoli e digital strategic planner in IWA. Anche da Popolizio il monito a non abbandonarsi all’ autocompiangimento e ad agire positivamente in maniera costruttiva.

E le difficoltà dei giornalisti precari, rappresentate anche dal pubblico in sala. Come Lidia Ianuario, giornalista freelance che interrogava Vincenzo Colimoro di Assostampa sulle gravi anomalie del rapporto giornalista-editore. Colimoro che, dal canto suo,  ha espresso una grande serenità e disponibilità da parte del sindacato a riconoscere il nuovo che emerge, ma mai a scapito della professionalità e della qualità.

Guido Scorza ha introdotto, nello scenario di questo cambiamento e delle nuove professionalità, un analisi tecnico giuridica ed una di forte matrice intellettuale:  la differenza tra informazione “dal basso” e “mainstream” così come determinata dal sistema politico-economico e giuridico italiano: il condizionamento e la censura che il sistema politico opera sul mondo dell’ informazione sono il vero problema del paese e del mondo dell’ informazione.

Bernardo Parrella, responsabile italiano del progetto “Global Voices”, ha sostenuto la necessità di ampliare il discorso, superando la visione mainstream dell’ informazione, acquisendo un concetto di informazione globale e partecipata.

Ma il vero fulcro dell’ evento sono state le narrazioni dei giornalisti e bloggers locali.

Da Paolo Esposito di Caffè News,  ad Alessio Viscardi con la sua inchiesta sulle discariche del Vesuvio, finanziata con il crowdfunding di Youcapital.it, a Francesca Ferrara con la sua rassegna “sentieri digitali”.

Sono loro che hanno dato un senso esperienziale forte alla mattinata, presentando le proprie inchieste, reportages, attività di informazione.

Un attenzione particolare ai ragazzi di Napoli Urban Blog, che con un lavoro di videoreporting intenso e capillare stanno facendo un lavoro enorme di informazione sul territorio.

In mattinata anche la presentazione del progetto “Studenti Giornalisti”, coordinato dall’ Associazione Pulitzer, che vedrà la realizzazione da parte degli studenti della Facoltà di Sociologia dell’ Università Federico II di Napoli, di inchieste giornalistiche che saranno poi pubblicate sulle pagine internet dell’ edizione locale di Repubblica, come hanno spiegato la Prof.ssa Enrica Amaturo del Dipartimento di Sociologia dell’ Università Federico II e Giustino Fabrizio, responsabile della redazione napoletana di Repubblica.

Ma “Thinking the Unthinkable 2010” è stato un punto di partenza. Abbiamo acquisito una esperienza pratica e la consapevolezza di aver individuato un percorso.

Stiamo già lavorando all’ edizione 2011, che si svolgerà a Napoli nel mese di maggio, nell’ arco di due giorni, interessando più aspetti dell’ informazione e della comunicazione: dal giornalismo tradizionale ai nuovi giornalismi, alla comunicazione aziendale ed istituzionale.  I laboratori di lavoro e discussione avranno  luoghi separati ma contigui, per cercare di portare, sempre con maggiore intensità, nuovi confronti e dibattito in questa città.

Antonio Rossano