L’equivoco del citizen journalism e il consumo partecipativo

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Piuttosto che sottolineare la potenziale vena giornalistica di ciascuno di noi, l’attenzione andrebbe spostata sulle diverse forme di fruizione che stanno modellando variegati (e ancora poco chiari) tipi di consumo partecipativo – E si scoprirebbe, ad esempio, che la moltiplicazione di eventi notiziabili e notiziati, l’addensamento di soggetti sociali interessati a fornire una prospettiva, un frame, a ognuno di tali eventi, l’ indistinto rumore di fondo che si ingenera come probabile conseguenza, sono le caratteristiche principali del nuovo ambiente comunicativo e portano il pubblico a richiedere prese di posizioni, valutazioni, letture preferenziali.– Si chiede ad esempio ai media giornalistici di schierarsi. Una richiesta mai esplicita, perché nel giornalismo continua a prevalere il richiamo formale all’obiettività; ma intuibile nella fidelizzazione dei consumatori, che motivano la fedeltà a una testata più che con attestazioni di credibilità con una stima che potremmo definire “focalizzazione della fiducia” – Una interessante riflessione di Carlo Sorrentino (Università di Firenze) a un workshop della Società italiana di sociologia

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Grazie alle nuove tecnologie si è diffusa la convinzione che chiunque abbia un computer e un collegamento in rete possa immettere contenuti autoprodotti in un circuito informativo globale e in tal modo “dire la sua”, intervenire in quella big conversation che sta modificando la sfera pubblica mondiale rendendola più piccola, più piatta, più trasparente, come spesso si dice.  Ma “dietro tale visione c’è una grande ingenuità sul modo in cui funzionano i meccanismi comunicativi” osserva Carlo Sorrentino, docente di Teoria e tecnica delle Comunicazioni di massa all’ Università di Firenze, in una interessante riflessione su ‘L’ equivoco del citizen journalism’ (presentata nei giorni scorsi a un Workshop sul tema “Pratiche culturali e reti di consumo. Luoghi plurali e nuove forme di partecipazione ” organizzato a Milano dalla sezione Processi e istituzioni culturali dell’ Associazione italiana di sociologia).

“La possibilità d’immettere contenuti nel mondo della comunicazione viene ritenuta di  per sé efficace, come sancisce l’ingenuo approccio basato sul determinismo tecnologico e sulla disintermediazione, ormai radicatasi nel senso comune”, ma, “sebbene le cose non funzionino così, l’ immediatezza e la continuità con cui le nuove tecnologie assicurano la connessione con la dimensione pubblica stanno provocando molte e significative conseguenze sulle modalità di produzione e di consumo delle informazioni giornalistiche e sulle modalità con cui il mondo viene raccontato”.  E , quindi, ‘’piuttosto che sottolineare la potenziale vena giornalistica di ciascuno di noi, l’attenzione andrebbe spostata sulle diverse forme di fruizione che stanno modellando variegati (e ancora poco chiari) tipi di consumo partecipativo”.

Sorrentino analizza in particolare i profondi mutamenti nel processo di produzione dei materiali giornalistici e, soprattutto, lo slittamento ideologico del concetto/valore di obbiettività dal puro rispecchiamento della realtà a una ricostruzione più articolata degli eventi e dei punti di vista ad essi collegati.

E’ anche sulla base di questi processi che, secondo Sorrentino, comincia a svilupparsi fra i giornalisti lo stimolo a cercare  ‘’un rapporto più diretto’’ con il cittadino, consentito e incoraggiato dalle nuove tecnologie e dall’ orizzonte completamente diverso che propone la Rete, cancellando le costrizioni temporali  (la ‘’deadline’’) e modificando gli ‘’spazi’’ e i format delle notizie (che vengono pubblicate nel loro ‘’farsi’’ (developing news), nella loro continua evoluzione,

Un processo che  – sottolinea Sorrentino – ‘’determina progressivamente la ridefinizione di ruoli e compiti fra i 3 attori della negoziazione giornalistica:
• le fonti;
• il pubblico;
• i giornalisti.

Non c’è più una precisa distinzione fra tempo di produzione, tempo di pubblicazione e tempo di fruizione. Questi differenti “tempi” accadono – o meglio potenzialmente possono accadere – contemporaneamente, sovrapponendo e intrecciando i ruoli dei distinti attori.

In un giornalismo di flusso, in cui continuamente sono pubblicate notizie, il lavoro giornalistico non consiste più nel tracciare una linea di demarcazione in un preciso istante spazio-temporale e dire: “finora è accaduto questo”.

In questo modo si ridefiniscono anche i limiti spaziali. Evidentemente ogni articolo continua ad avere una lunghezza precisa; anzi, le informazioni pubblicate on line sono tendenzialmente molto brevi, sia per la minore leggibilità per ora consentita dallo schermo, sia per la ricchezza di materiali a cui è possibile accedere. Ma dal singolo articolo si può passare agevolmente ad altre informazioni e ad altre ancora, in un flusso circolare che attraverso la logica dei link potrebbe non finire mai,
facendo sconfinare in due distinte direzioni il percorso della notizia:
• da siti propriamente giornalistici a siti non giornalistici;
• da contenuti gestiti da professionisti dell’informazione a contenuti realizzati dalle fonti, dai
produttori degli eventi, ma anche dai consumatori dell’informazione.


Il giornalismo
– prosegue Sorrentino – tende a perdere l’aura della completezza realizzatasi attraverso tutte quelle procedure operative e rituali strategici che nei decenni hanno permesso che diventasse la principale forma di racconto del mondo. Progressivamente si trasforma in un contenitore molto più ampio, mostrando, però, la finitezza dello sguardo giornalistico e la possibilità di chiunque d’entrare in questo sguardo.

Anche il consumo quindi diventa ‘’partecipativo’’ e questa partecipazione, osserva Sorrentino, ridefinisce la notizia:

Nel nuovo campo giornalistico la tradizionale verticalità fra fonti, giornalisti e pubblico per cui
• le fonti producevano gli eventi,
• i giornalisti raccoglievano le informazioni su quali fossero gli elementi più rilevanti di tali
eventi da raccontare al pubblico
• i fruitori si limitavano a recepirli

è sostituita da una tendenziale orizzontalità, in cui:
• le fonti cercano di alimentare continuamente l’ambiente comunicativo di fatti e fattoidi per
flettere la notiziabilità ai loro interessi;
• i giornalisti devono selezionare fra un repertorio di possibilità enormemente accresciutosi;
• il pubblico dei fruitori può contemporaneamente ritradurre le informazioni che riceve
reimmettendole in nuovi e peculiari circuiti informativi.

Ognuno dei tre attori della negoziazione giornalistica ha imparato a gestire le tecniche del lavoro giornalistico: raccogliere, selezionare, valutare. Ma il giornalismo è ben altro; non è soltanto fornire  informazioni, ma “mettere in forma” le informazioni. E’ dare senso e legittimazione a questo processo produttivo. Pertanto il lavoro giornalistico professionale non perde la sua rilevanza e specificità; cambia però il contesto entro cui si svolge tale lavoro, diventato più competitivo per la  compressione spazio-temporale che rischia d’appiattire e rendere meno nette le differenze di ruolo nella filiera informativa.

Ma quali ripercussioni hanno queste mutazioni sul consumo giornalistico?

La moltiplicazione delle occasioni informative alle quali possiamo esporci – rileva Sorrentino – produce la  sensazione che l’accesso ai fatti sia così semplice per cui non è necessario lavorare per la loro scoperta. Le notizie sono assunte di continuo. Per non dire, poi, della sempre più semplice riproduzione tecnologica dei testi, per cui attraverso il downloading e il podcasting possiamo acquisire quando vogliamo ogni specifica notizia. Questa “banalizzazione” della fruizione, dovuta alla continua e incessante esposizione dell’offerta, sta ingenerando la convinzione che i fatti siano perennemente davanti ai nostri occhi. Dunque, si ritorna alla vecchia massima dei “fatti che parlano da soli”, intesa però in una nuova accezione: se prima era il determinismo positivistico ad assicurare l’oggettività dei fatti, oggi sono le nuove possibilità tecnologiche a facilitarne la continua conoscibilità; ma anche a decretarne la completa sostituibilità. È stato calcolato come nel corso degli anni si stia progressivamente riducendo lo spazio concesso a ogni singola notizia e quanto più rapida sia la sua deteriorabilità.

L’ apparente facilità con cui accediamo ai fatti – aggiunge poi Sorrentino – favorisce la perniciosa tendenza a darli per scontati.


Ad esempio, le recenti polemiche sul sensazionalismo del racconto giornalistico di vari eventi di  cronaca nera rischiano di farci perdere di vista il vero problema. Non deve stupire né sconvolgere l’interesse per i fatti di cronaca, che sempre hanno attirato l’interesse del pubblico; piuttosto lascia perplessi come spesso notizie di contorno e di colore, battute e frasi colte a metà, risultino più importanti della ricerca dei fatti e del loro racconto. Per questa strada, più che essere noti, i fatti finiscono per essere ignorati, e non essere nemmeno più ricercati, annegati fra voci che si moltiplicano a dismisura; senza l’ordine sequenziale fonte-giornalismo-pubblico, ma in un disordine che li rende meno controllabili e favorisce quel vero bug del clima d’opinione che è la
leggenda metropolitana. Altro modo per depotenziare la notizia, facendo degradare la verità in verosimiglianza.

Si smarrisce la centrale funzione di messa in ordine prima ricordata come centrale nel giornalismo. I fatti perdono lo statuto d’oggettività per acquisire quello d’emblematicità. Uno slittamento simbolico che connota subito il fatto di un suo intrinseco giudizio di valore.

Il caso emblematico diventa l’oggetto grazie al quale misurare la propria prospettiva culturale
, la  propria visione del mondo. Il caso emblematico esorta a prendere posizione. Mentre la notizia poggia sull’assunto che il fatto vada separato dalla sua valutazione, il caso emblematico è già valutazione perché estrapolato dagli altri eventi e raccontato attraverso una precisa prospettiva, proprio perché esalti un determinato significato.

La moltiplicazione di eventi notiziabili e notiziati, l’addensamento di soggetti sociali interessati a fornire una prospettiva, un frame, a ognuno di tali eventi, l’ indistinto rumore di fondo che si ingenera come probabile conseguenza, sono le caratteristiche principali del nuovo ambiente comunicativo e portano il pubblico a richiedere prese di posizioni, valutazioni, letture preferenziali.

Si chiede ai media giornalistici di schierarsi. Una richiesta mai esplicita, perché nel giornalismo continua a prevalere il richiamo formale all’obiettività; ma intuibile nella fidelizzazione dei  consumatori, che motivano la fedeltà a una testata più che con attestazioni di credibilità con una stima che potremmo definire “focalizzazione della fiducia”. La crescente consapevolezza del
carattere situato con cui si descrive la realtà fa optare per un racconto giornalistico in cui sia riconoscibile il punto di vista. Lo dimostra il successo dei mezzi d’informazione con una più forte connotazione. Analogamente, le testate diventano dei marchi di cui fidarsi, che allargano la loro produzione nella descrizione della realtà a magazine, supplementi, libri, cd, enciclopedie, tutte
coerenti con l’imprinting della casa.

A questo punto, conclude Sorrentino, c’è da chiedersi se la maggiore frammentazione degli attuali consumi mediali e delle nuove forme di fruizione non indeboliscano letture comuni e favoriscano interpretazioni contestualizzate, compiute all’interno di comunità di pratiche composte da individui fra loro più simili, facendo venir meno quel ruolo d’“intermediari d’interesse generale” svolto dai media, assumendo la felice definizione di Sunstein (2002), che non a caso chiama “beni di solidarietà” le informazioni veicolate da tali media, il cui valore cresce in proporzione al numero di persone che le consumano.

Oppure, all’opposto se non s’instaurano nuovi circoli ermeneutici basati su eccentriche e cangianti pratiche di consumo partecipativo attivanti una più solida intelligenza collettiva che con il tempo produrranno nuove logiche della notiziabilità ridisegnando il campo giornalistico in modo più incisivo e profondo di quanto ora non si riesca a vedere.

La riflessione è assolutamente aperta.