Un jukebox per informazioni online

juke-box I grandi gruppi editoriali cominciano ad attrezzarsi sul serio e a progettare nel concreto il passaggio all’ online a pagamento, ma ancora non è chiaro quali  informazioni, quali notizie, quali servizi, si dovrebbe eventualmente far pagare – Una prima possibile griglia secondo Alan Mutter (Reflections of a Newsosaurus)

(foto di Erik Parker)
  

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I grandi gruppi editoriali cominciano ad attrezzarsi sul serio e a progettare nel concreto il passaggio all’ online a pagamento, ma ancora non è assolutamente chiaro quali  informazioni, quali notizie, quali servizi, si dovrebbe eventualmente far pagare.

Negli Stati Uniti Time Inc. sta avviando consultazioni con altri editori per lo sviluppo di una sorta di “edicola online”, un sistema con cui inviare news su abbonamento direttamente ai vari dispositivi mobili degli utenti. Secondo BitCity (che riporta notizie del Financial Times), l’ idea è offrire – con un sistema simile a iTunes o Hulu – un “jukebox” di contenuti a scelta degli utenti muniti di smartphone, notebook, netbook, o di e-reader come Kindle, il lettore elettronico di Amazon.

Time avrebbe già contattato altri player del settore, come Conde Nast e Hearst Corp. L’annuncio ufficiale potrebbe arrivare entro un mese mentre si starebbero definendo i dettagli finanziari dell’operazione.

Ma quali informazioni far pagare? Alan Mutter, come segnala sul Giornalaio Pier Luca Santoro, ha stilato sul suo blog – Reflections of a Newsosaur – una checklist di 8 punti in cui delinea intanto gli aspetti salienti da verificare prima di tentare di far pagare le notizie on line, realizzando una prima griglia di valore.

Fatte alcune premesse – non è possibile far pagare per contenuti che di fatto sono “commodities” quali le notizie generaliste; quelle iperlocali forse sì se talmente esclusive ed esaustive da renderle interessanti per i residenti di una specifica comunità; in ambito business-to-business, è molto probabile riuscire a far pagare notizie che aiutano a far soldi; è probabile far pagare per  (a) intrattenimento esclusivo, (b) informazioni che consentano di risparmiare e/o di valorizzare i propri soldi – Mutter analizza gli 8 punti e suggerisce una scala di valore da 1 a 5 che consentono alla fine di realizzare questo schema:
mutter

Come è possibile notare – spiega Santoro – il b2b è in blu mentre i contenuti orientati al consumatore che hanno maggiori possibilità di essere pagati sono in arancio.

L’opportunità effettiva di far pagare delle notizie, dei contenuti, sembra maggiore in ambito b2b che b2c; i responsabili dei siti web del Wall Street Journal e del Finanacial Times probabilmente già lo sapevano.

Ma, conclude Santoro, ‘’si noti come attualmente la maggior parte delle informazioni che gli editori vorrebbero far pagare non rientrano nelle categorie soprariportate ed otterrebbero punteggi davvero striminziti. Questo suggerisce la necessità da parte degli editori di creare prima dei prodotti vendibili e successivamente di tentare di farli pagare’’.