Sulla tomba di Anna Politkovskaja in nome della libertà di informazione

mosca-tomba Una delegazione dell’ associazione ‘’Annaviva’’ e una collaboratrice di Lsdi hanno compiuto un viaggio a Mosca rendendo omaggio, nell’ anniversario della nascita, alla tomba della giornalista uccisa e incontrando giornalisti e attivisti dei diritti umani per capire la situazione della libertà di stampa in Russia e nel Caucaso – “Di fatto, con l’omicidio di Anna Politkovskaja e Nataša Estemirova le informazioni sul Caucaso Settentrionale hanno smesso di arrivare. Era quello lo scopo”, racconta Dmitryj Muratov, direttore di Novaja Gazeta, il quotidiano per cui le due giornaliste lavoravano – “Non si può dire che ci sia censura, c’è autocensura. La maggior parte dei giornalisti che lavorano nei giornali, nelle televisioni prendono questa decisione”

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Dopo l’ uccisione del giornalista Malik Akhmedilov e degli attivisti per i diritti umani Natal’ja Estemirova, Sarema Sadulaeva e Alik Džabrailov, vari giornali e ong hanno scelto di non avere referenti nel Caucaso.

Il che equivale in qualche modo a dover barattare la propria ragione di essere con la sicurezza dei   cardini della propria autorevolezza. Senza contare che non si è palesato alcun tipo di sostegno anche solo morale né da parte delle autorità cecene né da parte delle autorità russe. 

Anzi, i vertici russi e ceceni si sono mossi all’unisono per difendere l’operato del presidente Ramzan Kadyrov, ritenuto da molti coinvolto sia nell’omicidio di Anna Politkovskaja che in quello di Natal’ja Estemirova.

Come vivono questa situazione Memorial e Novaja Gazeta, colpite dalle perdite umane dei propri  collaboratori? Come vedono il futuro del Caucaso e della Russia alla luce degli ultimi eventi?

Per rispondere a queste domande e toccare con mano la situazione della libertà di stampa in Russia, alcuni rappresentanti dell’ associazione ‘’Annaviva’’ e Valentina Barbieri di lsdi si sono recati a Mosca in occasione dell’anniversario di nascita di Anna Politkovskaja.

Dagli incontri avvenuti in modo voluto o fortuito nasce questo reportage, che illustra i pensieri e le sensazioni di questo viaggio di “turismo responsabile”.

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VIAGGIO A MOSCA IN NOME DELLA LIBERTA’ DI INFORMAZIONE

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Questo è il resoconto di un viaggio di “turismo responsabile” a Mosca, compiuto dalla sottoscritta e da una delegazione dell’ associazione ‘’Annaviva’’ di Milano.

di Valentina Barbieri

Sabato 29.08.09,  I GIORNO
Pensiero del giorno: Chi sarà cambiata di più tra me e te, Mosca? Sarai ancora la solita città sproporzionata, beffarda, sfuggente? E mi riconoscerai quando arriverò, vestita di un altro anno, non più studente, non più assistente turistica, ma giornalista in fieri? O ci guarderemo le spalle, mantenendo una distanza oculata e diffidente?

Il primo giorno è viaggio e attesa, nei non luoghi ad alto tasso di aria condizionata. Venezia Francoforte, stessi sedili nelle sale d’attesa, stessi passeggeri che camminano storditi tra i bar e i gate.

È una giornata in cui i pensieri si proiettano già su domani e lunedì, giornate tanto intense da far presagire un perfetto incastro della tempistica, privo di tempi morti. Oppure, al contrario, una lunga processione di patemi d’animo e d’ansie per il procrastinarsi di tutti gli incontri e la prematura interruzione degli stessi.

Perché mi trovo qui, in questo aeroporto semi-deserto, cosa mi spinge a scrivere più velocemente per ingannare il tempo?
“Torno in Russia”
“Vacanza?”
“No”
“Lavoro?”
“Mh. Più no che sì”
Come spiegare che sto andando in Russia per indagarla, per sondare in loco lo stato del giornalismo e delle ong, per portare il mio saluto ad una tomba?
“Diciamo che vado per incontrare delle persone, per parlare, per fare delle interviste”
“Lavoro allora” incalza.
“D’accordo. Diciamo lavoro e piacere insieme”.

Quello che ora mi aspettano sono due giorni che per me hanno i volti dei membri di Annaviva che incontrerò oggi, di Nataša Grib del Kommersant, dei figli di Anna Politkovskaja Vera e Il’ja, di Nadežda Prusenkova della Novaja Gazeta, degli attivisti di Memorial.
Forse, sono venuta a vedere le notizie da un’altra parte.

Aneddoto del giorno: ieri una mia amica, parlando di lei e altre persone a cui voglio bene, mi ha detto “Siamo orgogliosi di te”. Non avrei mai ipotizzato che questa frase potesse non provenire da un genitore. Un genitore in qualche modo è “tenuto” a dirlo: ti vede crescere, fare delle scelte e delle rinunce, ferirti, ostinarti, rialzarti. È orgoglioso perché sei una parte fisica di lui che si crea una propria strada nel mondo. Se è un amico a dirtelo, vuol dire che forse fai più luce di quella che pensi.

Stato interiore: in preparazione atletica. Adrenalina abbondante e ben distribuita. Mal di pancia da somatizzazione. Ad intervalli regolari penso ai miei esami di lingua russa, e mi dico “Quello al confronto non era niente”.

 

Domenica 30.08.09    II GIORNO
Pensiero del giorno: Quanto durerà questa giornata?

Appuntamento alle ore 10,15 davanti al cinema in Novyj Arbat. All’attivo troppe poche ore di sonno, disturbate per giunta dalla luce che filtrava attraverso le finestre, e da un fuso orario sufficiente a rallentare i riflessi.

Iniziamo la lunga marcia verso il cimitero di Troekurov, verso la tomba di Anna Stepanovna Politkovskaja.

La metro riemerge sulla terra moscovita e si perde tra le betulle oltre l’anello della metropolitana.
Due taxi ci portano all’ingresso del cimitero. Mi chiedo se immaginano perché siamo lì, quanti altri stranieri hanno percorso queste strade prima di noi. Chissà.

Il cimitero Troekurov si trova in ulica Rjabinovaja, letteralmente via del sorbo selvatico, e mi risuonano nella memoria i versi dell’ immensa Marina Cvetaeva dedicati a questa bacca rossa e amara. Rossa e amara come il destino di Anna Stepanovna, che queste parole sembrano descrivere esattamente nonostante gli oltre 70 anni di distanza.

Hanno tagliato
il sorbo
all’alba.
Sorbo,
destino
amaro.
Sorbo
con grigie
discendenze.
Sorbo,
destino
russo.
(Marina Cvetaeva, 1934)

 

Betulle e bacche si alternano tra le tombe nere, ricordando a chiunque vi passeggi che anche questa oasi di pace è sottoposta ai dettami della natura russa.

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La tomba della Politkovskaja si trova quasi al limite del cimitero, nella settima sezione, in compagnia di militari, politici, uomini di scienza e di arte. I contorni ondulati della sua tomba  lasciano scorgere le sagome di due donne visibilmente commosse.
La più giovane, Lena, è un albero solido a cui la minuta Alla si appoggia.

Fissano la lapide in silenzio, lasciando che i loro pensieri si rompano in gola.

Incontrarle in questo luogo e scoprire che anche loro, come noi, hanno percorso centinaia di chilometri per portare omaggio ad una giornalista uccisa mi riempie di un senso di gratitudine.

Qualcosa è sopravvissuto ai cinque proiettili e ad un processo che non dà pace né ai vivi né ai morti.

La lapide di Anna Politkovskaja non si vede mai nelle fotografie scattate sulla sua tomba. Me ne rendo conto mentre Matteo, presidente di Annaviva, appoggia il mazzo di rose bianche alla base della scultura.

Accanto all’immagine della donna dagli occhi tristi troneggia un giornale in cemento perforato da 5 colpi. Un soffio di vento (o una mano?) sembra voler girare la pagina di una storia sempre simile a sé stessa, ma la pagina è rimasta bloccata  a mezz’aria, fuori dallo spazio e dal tempo, trafitta.

Alla ed Elena arrivano da un villaggio “in mezzo alla Russia”, spiega Lena. Da una parte l’Europa, dall’altra l’Asia. Entrambe da anni sono fedeli lettrici della Novaja, perché, dicono, “in questo giornale scrivono delle persone in cui credi ciecamente, sono come amici, come persone che conosci”.

Nel portafoglio tiene una fotografia della Politkovskaja, un po’ consumata sui bordi, come se l’avesse tenuta in mano in chissà quali e quante occasioni.

“Ho l’impressione che dopo Anja nessuno più scriva come lei del Caucaso settentrionale, né della Cecenia. Sembra che meno se ne sa e meglio è. E dopo Natal’ja Estemirova, davvero non so chi sarà il prossimo. La guerra in Cecenia è conclusa solo sulla carta.”

Arrivano il direttore della Novaja Gazeta, Dmitrij Muratov, i figli di Anna Politkovskaja, Il’ja e Vera. Con loro altre persone, di cui so solo che non sono disposte a dimenticare.

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Dmitrij Muratov (nella foto a destra) si avvicina alla lapide e lì si ferma, solo, a metà tra i vivi e la morta. Gli occhi azzurri tradiscono un dolore che non può essere anestetizzato, un senso di fragilità che contrasta con la mole massiccia e il passo sicuro.

Guarda la fotografia, ma il suo sguardo sembra passare oltre.

“Di fatto, con l’omicidio di Anna Politkovskaja e Nataša Estemirova” spiega “le informazioni sul Caucaso Settentrionale hanno smesso di arrivare. Era quello lo scopo.”

Gli ultimi fatti di sangue nel Caucaso hanno messo in crisi persino la Novaja Gazeta, arrivata alla dolorosa conclusione di ritirare i propri referenti dall’area.

“Nel Caucaso non vige la legge della Federazione russa, tutto qui, è il potere di Kadyrov, che lo si ami oppure no.” Per Muratov non si può arrivare ad altre conclusioni.

 

***

Natal’ja Grib é una giornalista del Kommersant che si occupa di politica energetica. La incontriamo in un bar non lontano da piazza Majakovskij per fare un’intervista per il prossimo libro di Andrea Riscassi. Con lei parliamo di Gazprom, facendo ripartire il discorso dall’ultimo libro pubblicato dalla giornalista, dall’eloquente titolo “L’imperatore del gas”.

Ciononostante, e malgrado la scarsa propensione della Grib all’argomento, ci ritroviamo a parlare di libertà di stampa. La giornalista limita il discorso all’aspetto che più la riguarda, quello della critica economica. Ammette che in effetti non si scrive degli errori del governo russo, ma riferisce questo  ad un discorso di mentalità. Secondo la giornalista, la necessità della libertà di parola non è sentita molto nel paese, vige una mentalità molto legata al marketing e ai guadagni.

Per quanto riguarda il Kommersant, la Grib si sente abbastanza tutelata perché “è un giornale con una lunga storia e non può essere chiuso”.

Certo, però ora che dal 2008 la proprietà della testata è di Usmanov, manager di Gazprom, è lecito chiedersi se qualcosa per caso non stia cambiando…

 

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Ulica Lesnaja si trova nei pressi della stazione Belorusskaja, una delle stazioni della metropolitana che delimitano l’area centrale della città. Alle spalle del grande piazzale su cui si affaccia la stazione si snoda per l’appunto la Via dei Boschi. Un viale (o bul’var, per dirlo alla russa) a 4 corsie che corrono tra blocchi di uffici nuovi d’inaugurazione.

L’edificio dove viveva Anna Politkovskaja, lo stabile 8/12, non ha niente di speciale. Solita porta  arrugginita da condomini di stampo sovietico, solito sistema a codice elettronico per entrare in una abitazione pressoché identica a quelle a fianco. Di anomalo c’è solo una targa scura, che recita “In questa casa ha vissuto ed è stata crudelmente uccisa il 7 ottobre 2006 Anna Politkovskaja.”

Guardando il viale e le macchine che passano ininterrottamente, viene da chiedersi: È davvero possibile che quel giorno alle 4 di pomeriggio nessuno sia stato testimone dell’omicidio o della fuga dell’assassino?
Sembra difficile da credere.

Oggi, all’entrata dell’edificio, qualcuno ha lasciato dei fiori freschi.

Buon compleanno Anna.

 

Lunedì 31.08.09, III GIORNO

Di Mosca mi ha sempre sorpreso come le costruzioni possano disporsi negli spazi più impensabili. L’ufficio di Memorial ne è un clamoroso esempio.

Mentre percorriamo il Piccolo vicolo della carrozza (Malyj Karetnyj Pereulok), nell’angolo di un cortiletto, sbuca uno stabile chiaro con una scala antincendio.

Non è una scala antincendio, come nella mia ignoranza supponevo, bensì l’accesso principale alla sede moscovita di Memorial, onorevole ong per i diritti umani.

Ci accoglie Elena Žemkova, direttrice esecutiva, che si scusa del rumore degli operai che stanno lavorando nella sede di Memorial (nella foto sotto la targa all’ entrata della sede). Scuse che verranno ripetute altre volte durante l’intervista.

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La prima cosa che ho pensato di Elena Žemkova è stata che è un’umanista. Per le scuse, perché si è subito preoccupata che l’intervista venisse tradotta man mano a chi non sapeva il russo e che tutti avessero una sedia. Appena il telefono ha suonato, interrompendola, ha staccato il cavo con fare deciso e aria quasi imbarazzata, a conferma che in quel momento nessuno era più importante dei presenti. Ogni sua parola, ogni suo gesto trasudano una mite, spontanea attenzione per il singolo.

Iniziamo parlando del Caucaso. Anche Memorial, come la Novaja Gazeta, ha rinunciato per il momento ad avere referenti in quell’ area.

“È stata una decisione pesante perché queste persone davano informazioni vere, aiutavano la gente del posto. Ora nessuno sa come andrà avanti. (…) Spero che non ci toccherà aggiungere altri nomi nella lista delle vittime. Forse è una speranza che non ha nessuna possibilità. (…) Il governo non fa nulla, se dice qualcosa sono solo parole formali, pura demagogia, è quello che si aspetta l’ occidente. Che cosa può ostacolare questi delitti? Solo due cose: la prevenzione e la punizione. La prevenzione è la definizione delle cause e lo sviluppo dello stato di diritto, in cui le persone capiscono che le situazioni di conflitto è meglio risolverle con i metodi della legge. La punizione sta nel ricercare i veri colpevoli e punirli. In questo senso l’assassinio di Anna Politkovskaja e delle altre persone deriva direttamente dal fatto che non siano stati trovati e puniti i veri colpevoli. Nel ’94, ’95, ’96 venivano violati i diritti della gente comune e questo è rimasto impunito. Il passo successivo sono stati i crimini contro i giornalisti e poi contro le ONG che raccolgono informazioni e descrivono questa situazione”.

Una parete della sede di Memorial tappezzata di fotografie e appunti

Quale sarà l’ulteriore tappa di questa escalation di follia? Chi è rimasto ancora in piedi?

Mentre scendiamo la scala esterna di Memorial (nella foto una parere della sede tappezzata di fotografie e massaggi), Lena controlla che tutti arrivino a terra sani e salvi e ci augura “ogni bene”. Rispondo all’augurio con le stesse parole e mi trovo a sperare che la Žemkova sia la prossima tappa dell’evoluzione della specie umana.

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La Novaja Gazeta ha un tipo di entrata un po’ diversa rispetto a Memorial.

Si trova nell’angolo di un vasto piazzale in cemento, come i fili d’erba che, non si sa bene come, riescono a crescere nelle condizioni più “inopportune”.

Un piccolo edificio rosa costituisce l’entrata comune a Novaja Gazeta e Moskovskaja Pravda, letteralmente la verità moscovita, un giornale locale.
mosca-teca-novaja Dopo aver suonato il campanello si accede ad un piccolo corridoio interrotto dal banco della dežurnaja, la responsabile di turno. Lì gli ospiti presentano un documento e vengono registrati. Con mia grande sorpresa il passaporto mi viene restituito in tempi record, probabilmente anche perché la visita era preannunciata e Nadežda Prusenkova, responsabile dell’ufficio stampa, ci aspetta oltre il banco.

Nadežda ci guida in una visita quasi turistica della redazione, tra l’enorme quadro che rappresenta (poco credibilmente!) Vladimir Putin che legge la Novaja, i primi numeri del giornale, gli uffici e le rispettive riunioni (nella foto una grossa teca con alcuni dei reperti della storia del quotidiano).

Arriviamo alla scrivania di Anna Politkovskaja, un posto che mi ricorda in una qualche misura una casa-museo. A sostituire la frenesia scrittoria, le telefonate, la vita insomma!, ci provano senza grandi risultati un’enorme immagine della giornalista, i suoi libri, la scrivania sgombra.

Non poteva essere altrimenti, forse, ma la sensazione è quella di stare di fronte ad una teca di vetro.

Nadežda prosegue e ci presenta Vitalij Jaroševskij, vice-redattore del giornale. Lui e Dmitrij Muratov, direttore, incontrato al cimitero, sono tra di loro figure quasi antitetiche. Massiccio e misurato nelle parole l’uno, smilzo e loquace l’altro. Lo sguardo di Muratov è una lenta locomotiva che segue imperterrita i suoi binari, quello di Jaroševskij una fiamma che guizza.
Parliamo di Russia, di occidente, di diritti umani.

“In Russia non c’ è società civile, non c’è dibattito.” ci spiega. “Negli anni di Gorbačёv, di El’cin, il dibattito c’era. Anche i sostenitori di Stalin vivevano bene ai tempi del dibattito, erano una posizione con pari diritti, poi è stato deciso che c’è una verità, una sola versione della storia. Tutto è iniziato con Putin.”

Ma anche gli stessi giornalisti non sono esenti da critica. Nadežda Prusenkova sottolinea: “Non si può dire che sia censura, c’è autocensura. La maggior parte dei giornalisti che lavorano nei giornali, nelle televisioni prendono questa decisione.”

“Che però coincide con la decisione del Cremlino.” puntualizza il vice-redattore. “Il principio è semplice: è meglio non parlarne. Se continui a tacere non succederà nulla, mentre se parli qualche conseguenza ci sarà. Ci son quartieri in cui arriva solo il Primo Canale, non c’è nient’altro, è l’unica forma di informazione”.

Avere come unica voce il Primo Canale equivale a non essere mai usciti dal sistema della propaganda. Se aggiungiamo a ciò la considerazione che internet non è ancora utilizzato dall’80% della popolazione russa e che i giornali russi hanno un numero di pagine che è meno della metà di quelli italiani, è facile rendersi conto che quello che io considero il “normale fabbisogno informativo” non può essere raggiunto in queste zone.

E ora come andrà avanti la storia russa?

Jaroševskij si rifà ad uno storico che studiando la storia russa è arrivato a rilevare una sorta di ciclicità: a 10 anni di crescita della democrazia ne seguono 20 di ristagno e reazione.
“Ora la Russia si trova da qualche parte nel mezzo di questo ventennio, nel periodo di restaurazione. Io penso che tutto questo cambierà, ci sarà una nuova politica. (…) Da un punto di vista politico c’è unanimità, ma manca la discussione sociale e ci sono molti problemi gravi. Si sta accumulando una forte energia che cerca una via d’uscita”.

Forse questa frase voleva essere rassicurante, ma dentro di me non posso fare a meno di chiedermi se questa energia, che permetterà il passaggio alla successiva fase storica, sarà quella violenta dei nazbol (i nazi-bolscevichi) e dell’estremismo oppure quella pacifica di Memorial, Novaja Gazeta e opinione pubblica.

Mi lascio alle spalle la Novaja Gazeta, gli amici di Annaviva e la stazione Paveletskaja. Rimaniamo io, le betulle oltre il finestrino e una domanda senza risposta che mi marca stretta.