Quando i giornalisti scenderanno dalla ‘collina’?

mediapart.jpg Ambiguità e non-detto in un appello lanciato a Parigi da Reporters sans frontières e Médiapart – La libertà di stampa è solo un aspetto particolare del più ampio diritto dei cittadini alla libertà di espressione

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Una nuova conferma del perpetuo appuntamento mancato fra i giornalisti e i cittadini viene da un recente documento sulla libertà di stampa diffuso congiuntamente da Reporters sans frontières e Mediapart e intitolato   « L’Appel de la Colline »*. Lo pensa Narvic, riprendendo su Novovision la dura analisi critica che di quel documento ha fatto Henri Maler, ricercatore universitario e co-animatore di  Acrimed , un’ associazione indipendente di osservazione critica dei media.

In  « L’appel de la Colline » ou les brumes d’un consensus minimaliste, Maler traccia un’ analisi approfondita e corrosiva dell’ appello, ‘’mettendo in evidenza in maniera lampante le ambiguità e le cose non dette di questo testo nebbioso, redatto – spiega – strettamente dal punto di vista dei giornalisti professionali, dimenticando di difendere prima di tutto e soprattutto il diritto di essere informato dei cittadini (e le condizioni economiche concrete dell’ esercizio di questo diritto), così come la libertà di espressione di tutti, in particolare su internet e nei blog, di cui la libertà di stampa non è che un aspetto particolare’’.

Riaffiora il solito sospetto, nota Narvic, e cioè che i giornalisti invochino ‘’i grandi principi della democrazia soltanto quando servono a sostenere i propri interessi corporativi e che si guardano bene dall’ andare fino alle conseguenze della logica che sta alla base di questi principi: metersi al servizio dei cittadini significherebbe dar loro voce in capitolo e accettare di rendere conto a loro’’.
appello-collina.jpg E poi, aggiunge, ‘’difendere il diritto all’ informazione senza porsi chiaramente la questione delle condizioni economiche del suo esercizio è semplicemente una vuota petizione di principio’’.

A questo punto, rileva Narvic, ‘’i giornalisti smettano di meravigliarsi se questo appello al Popolo resta largamente senza risposta. Il fatto è che ancora una volta si sono dimenticati di imbarcare il popolo sulla loro nave’’.

L’ appello (vedi accanto), contiene in realtà dei riferimenti al diritto dei cittadini ad essere informati, ma, secondo Maler:

La libertà di stampa non può essere uno scopo in sé, ma solo un mezzo: la condizione indispensabile non soltanto della libertà di opinione (che non può essere altro che libertà di pensare a titolo privato), ma soprattutto della libertà di espressione e di critica pubblica.

Il diritto all’ informazione non riguarda soltanto il diritto di disporre di informazioni, ma anche di poterle produrre. E quindi copre due diritti: quello di informare e quello di essere informati. E questi diritti presuppongono che sian o garantiti I mezzi per poterli esercitare. In altre parole: il diritto ad informare, come quello ad essere informato, non è o non dovrebbe essere un privilegio (e a maggior ragione un monopolio) dei giornalisti (e a maggior ragione delle aziende che li impiegano, soprattutto quelle per cui il primo obbiettivo è realizzare dei profitti) ma un diritto dei cittadini che, quando ci si tiene all’ altezza dei grandi principi, non saprebbero suddividere i beneficiari di questo diritto fra dei  « cittadini passivi » a cui l’ in formazione è destinata e dei « cittadini attivi » che la producono. E’ una cosa scontata? E allora perché non dirlo?

L’appello non manca di citare internet (alla base dell’ iniziativa d’ altronde c’ è Mediapart)  ma la visione di internet che ne viene fuori – secondo Maler – è per lo meno curiosa. Per le sue omissioni inanzi tutto:

Nel momento in cui l’ informazione su internet è minacciata, per esempio, dall’ instaurazione, in caso di diffamazione, di un un periodo dai mesi a un anno per presentare querela (derogan do così al diritto comune); nel momento in cui gli scambi di informazioni e di dati sono destinati ad essere sempre più controllati dal potere economico e da quello statale (…), l’ Appello sceglie di tacere su queste questioni fondamentali.  

Curiosa poi anche per le sue limitazioni, come se internet, visto dai giornalisti, si limitasse allo stretto orizzonte dei loro siti stampa:

Terza e ultima rivendicazione sul pluralismo: « un riconoscimento integrale del ruolo dei lettori in quanto commentatori, collaboratori e blogger, in modo da accrescere la diffusione e la condivisione democratica delle informazioni e delle opinioni. » Altra idea generosa. Ma che cosa implica questo « riconoscimento integrale » ? Che un posto a parte deve essere riservato ai soli « commentatori, collaboratori e blogger » della stampa digitale, allo stesso modo di quello che gli attribuiscono dei siti come quello di… Médiapart (o di Rue89) ? Se non si tratta – o non si tratta soltanto –  di un « riconoscimento » delle scelte editoriali « partecipative » effettuate da questi siti (e quindi rivolte a degli si particolari di internet), quali sono le conseguenze giuridiche o materiali di un simile « riconoscimento » ? E che cosa diventano allora i siti e i blog che contribuiscono, in maniera indipendente, ad « accrescerfe la diffusione e la condivisione democratica delle informazioni e delle opinioni » ? Bisogna capire che devono essere riconosciuti in maniera integrale soltato quei siti che vengono animati da professionisti e dai commentatori-collaboratori-blogger che sono ad essi associate? E che dire allora degli altri, e in particolare dei siti associativi, anmati da volontari, o anche da salariati che non sono però in posesso della tesserina stampa?

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*Il nome deriva da quello di un Teatro parigino dove l’ appello era stato presentato.