Giornali in Usa: il 2009, un anno di gravi ferite ma anche dell’ avvio della riscossa

Pinguini-informati Il 2009 verrà ricordato probabilmente come l’ anno dei tagli e delle chiusure, ma anche come l’ anno in cui i quotidiani hanno cominciato a contrattaccare, facendo dei cambiamenti e cominciando a rimettere a posto gli aspetti insoddisfacenti del loro modello economico – Il mondo del giornalismo ha sofferto molte perdite, anche pesanti, ma si è sviluppato anche molto pensiero innovativo e sono stati registrati progressi sul modo con cui le notizie vengono raccolte, elaborate e presentate – In questa analisi alcune delle tendenze principali che Editors Weblog ha registrato nel 2009 con l’ avvertenza che si tratta di un punto di vista tutto interno all’ industria editoriale tradizionale, soprattutto quella dei quotidiani

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THE YEAR IN NEWSPAPERS: top trends of 2009
di Emma Heald
(Editorsweblog)

Tagli, tagli, tagli: quali conseguenze?

Alcune città Usa sono rimaste con un solo quotidiano e la domanda su quale sarebbe stata la prima città senza giornali ha avuto una risposta a luglio quando Ann Arbor News ha cessato le pubblicazioni. Il Seattle Post-Intelligencer ha tagliato gran parte della redazione ed è rimasto solo online, mentre Denver ha perso il em> Rocky Mountain News. Mentre il San Francisco Chronicle e il Boston Globe erano impregnati a lottare per la sopravvivenza.

E anche quelle testate la cui sopravvivenza non era in pericolo hanno dovuto tagliare i redattori – il New York Times ha perso 100 giornalisti – o chiudere delle redazioni – il Washington Post non ha più nessuna redazione interna oltre a quella nella capitale. Altri hanno tagliato la copertura internazionale. I giornali sono diventati più ‘’magri’’, alcuni hanno chiuso delle sezioni o cancellato le edizioni in alcuni giorni.

Anche le agenzia di stampa hanno provato gli effetti dei tagli nei giornali. L’ Associated Press ha visto ben 180 testate minacciare di cancellare l’ abbonamento, anche se poi molte di loro non lo hanno fatto concretamente.
Il Chicago Tribune, per esempio, ha provato a fare a meno del notiziario dell’ AP per una settimana. Anche in Francia, la France Presse ha visto alcuni giornali tagliare i suoi servizi.

In generale, in Europa i tagli non sembrano drastici quanto negli Stati Uniti, anche se i giornali non ne sono stati certo immuni: come il Guardian, che sta tentando di fare dei tagli significativi nella redazione. (In Italia, come denuncia la Fnsi , sono in uscita almeno 700 giornalisti attraverso gli ammortizzatori sociali, ndr).

Potranno i giornali continuare a svolgere la loro funzione democratica nella società? Meno giornalisti significa meno argomenti toccati, meno redattori significano un maggiore rischio di errori. Le nuove testate possono contribuire a riempire il gap di informazione, ma senza dei fondi significativi anch’ esse finiranno per languire. E’ fondamentale concentrarsi sull’ efficienza e sul modo di sfruttare al meglio le proprie risorse e sforzarsi di non sacrificare la qualità.

Far pagare o non fa pagare (online)?

Visto che il modello economico basato unicamente sulla pubblicità li lascia a terra, una delle maggiori questioni dell’ anno è stata se i giornali debbano o meno cominciare a far pagare i loro contenuti online. Fino ad ora si sono registrate tantissime parole ma nessun fatto.

Walter Isaacson ha messo la questione dei micropagamenti al centro dell’ agenda nel febbraio scorso, scatenando una immediata controversia. Il dibattito è partito in aprile quando tre esperti del settore hanno fondato una start-up, Journalism Online, per mettere a punto un progetto, analogo ad iTunes, per facilitare i pagamenti online. E’ stata immediatamente seguita da Murdoch che all’ inizio di maggio ha annunciato che tutte le testate della News Corp avrebbero attfo pagare l’ informazione online entro l’ anno.

MediaNews Group è venuta subito dopo. Il New York Times anche sembrava deciso, ma era incerto sul come. E l’ appello della Newspaper Association of America per un modello a pagamento ha suscitato una risposta notevole.

Comunque, qualche piccolo giornale, come la Daily Gazette, di Schenectady, e il texano Valley Morning Star hanno tranquillamente inserito dei paywall: è una lezione che bisogna imparare?

Murdoch, senza dubbio uno dei più forti supporter, a voce, del pagamento online, insiste sul fatto che le notizie sono un prodotto con un valore e non possono essere gettate via. E’ difficile dargli torto, ma alcuni editori sono convinti che far pagare l’ online non sia la risposta alle difficoltà finanziarie e restano legati all’ idea che alti volume di traffico e una pubblicità fortemente mirata possa sostenere le spese. Il Guardian, per esempio, è uno di essi. Un gran numero di ricerche hanno suggerito che, e non c’è da sorprendersi, far pagare l’ online non sarebbe popolare fra i consumatori.

Un paio di testate hanno adottato un sistema di pagamento indiretto: per esempio, il Pittsburgh Post-Gazette ha offerto l’iscrizione a un club che offre contenuti addizionali e iniziative speciali ai lettori soci.

Questa può sembrare una possible opzione per quegli editori che hanno paura di sacrificare I loro ricavi pubblicitari ma vogliono misurarsi c on i contenuti online a pagamento.

Murdoch manterrà la sua promessa? L’ informazione a pagamento sarà la norma a partire dalla fine del 2010? E che cosa accadrà a Journalism Online: il suo sistema alla iTunes sarà una delle opzioni?

L’ esplosizione di TWITTER

Da ora in poi, l’ idea di un giornalista che non usa Twitter è pressoché inconcepibile. Dopo che CNN e Ashton Kutcher per prime hanno raggiunto la soglia di un milione di followers nell’ aprile scorso, in una battaglia altamente pubblicizzata, siti con vari milioni di follower non sono rari.

I vantaggi sono multipli: scoprire notizie, pubblicizzare i propri servizi, curare le comunità di lettori. Il limite di Twitter tuttavia è che le informazioni possono essere molto difficili da verificare. Queste caratteristiche sono diventate particolarmente evidenti durante la crisi post elettorale in Iran, in giugno, quando per molti giornalisti era quasi impossibile restare nel paese e le notizie venivano diffuse soprattutto dai social networks e dai citizen journalists.

Twitter ha avuto un impatto significativo sulla tendenza a incrementare l’ informazione minuto-per-minuto, le notizie in tempo reale. Twitter ha cambiato la sua homepage a luglio per dare maggiore spazio alle ricerche e alle sue grandi possibilità di far capire di che cosa la gente sta parlando in questo momento. Google ha recentemente annunciato che integrerà gli aggiornamenti in tempo reale di Twitter fra i risultati del suo motore di ricerca.

Che c’ è ancora? Stando al vasto dibattito su che cosa in questo momento può portare soldi, è stato appena annunciato che Twitter ha già cominciato a fare profitti, e questo permette di stabilire che, almeno per il momento, è qui che bisogna attestarsi. Sono più chiari ora i suoi vantaggi per i giornalisti rispetto a Facebook, anche se Facebook http://www.facebook.com/ continua ad essere usta regolarmente da un gran numero di persone. Con il crescere dell’ uso di Facebook Connect, può darsi che quest’ ultimno divente più importante nel 2010?

HYPERLOCAL: solo una esagerazione o sarà il futuro delle notizie?

L’ ubiquità delle notizie online gratuite ha portato, comprensibilmente, alcune testate a privilegiare quello che loro possono offrire di unico, e lo spostamento verso l’ iperlocale ha indotto molti, in particolare I giornali regionali, che hanno sofferto in maniera molto forte, a scegliere una strada che tra l’altro offre la possibilità di pubblicità locale altamente mirata.

Anche i media mainstream hanno capito i benefici dell’ informazione locale: l’ aggregatore iperlocale Americano Outside.in ha beneficiato di considerevoli investimenti da parte della CNN, ed Everyblock, inizialmente creata con una ‘’borsa’’ della Knight Foundation, è stata poi comprata da MSNBC. Il New York Times ha aperto un blog chiamato The Local, in un’ area già coperta da un gran numero di offerte iperlocali come Patch o Maplewood Online. Siti web di comunità sono stati creati anche in UK.

Ma, come recentemente si chiedeva Benji Lanyado, l’ iperlocale sta facendo soldi? E’ stato trovato il giusto business model?

Una iniziative da segnalare è il progetto Futuroom/Nase adresa lanciato da PPF Media nella Repubblica ceca, che sta facendo cronaca direttamente attraverso la comunità e sta costruendo un insolito flusso di reddito alternativo. I ‘News cafes,’ che sostituiscono le redazioni nei principali caffè dei centri cittadini, sono il cuore della strategia di PPF: essi infatti nello stesso tempo producono delle entrate (abbastanza per coprire le spese generali) e offrono al pubblico un accesso diretto ai giornalisti, facendo in modo che le redazioni diventino una parte reale della comunità. Coordinato da Futuroom, che la sua sede a Praga, I settimanali Nasa adresa e i siti web corrispondenti sembrano andar bene, anche sul piano delle vendite.

E’ troppo presto per dire se il progetto, lanciato a giugno, rappresenta una soluzione da utilizzare più ampiamente, ma sembra in ogni caso promettente. L’ iperfocale ha indubbiamente delle potenzialità, ma c’ è bisogno anche qui di trovare un business model che lo sostenga.

”i” come innovazione

i Una delle storie di successo nel 2009 è stata la vicenda del quotidiano portoghese ”i”. Mentre in tutto il mondo i giornali soffrono per le difficioltà finanziarie, lanciare una nuova pubblicazione potrebbe sembrare una follia. Ma, almeno per ora, i ha dimostrato che nel suo caso lo scetticismo era sbagliato. Questo giornale disegnato in stile magazine e centrato su politica ed economia è stato ben venduto e viene gestito in modo da catturare una nuova audience difficile-da-raggiungere.

Il giornale ha volonatriamente abbandonato la tradizione divisione in sezioni e argomenti per consentire una maggiore libertà di copertura giornalistica, e punta molto sulle opinbioni e sulle analisi approfondite dei problem del giorno, tenendo del fatto che I suoi lettori sono probabilmente già ben informati attraverso le alter piattaforme.
Vengono incoraggiante la sperimentazione e nuove idee e l’ entusiasmo è alto. In più, il giornale non mette online tutti i suoi contenuti: il sito web punta ad essere una sorta di portale informativo sociale piuttosto che una riproduzione digitale delle notizie del cartaceo.

Essendo un nuovo giornale, è stato più facile per i rompere il modello tradizionale, ma c’ è qualche lezione che i giornali tradizionali possono trarre da quello che a ”i” viene fatto in modo diverso?

Il modello nonprofit può avere un posto significativo nel panorama dei media?

Se diventare o meno nonprofit possa essere una opzione per I quotidiani è una questione che è stata discussa in lungo e in largo dagli esperti di media ed è arrivata anche nella sede del Senato Usa. I vantaggi principali: protezione dalle forze del mercato. Il principale svantaggio: nessuna libertà di scegliere per quale candidato schierarsi. E, ovviamente, la sfida di riuscire a trovare un mecenate abbastanza ricco.

L’ idea che un giornale possa essere completamente sostenuto da una fondazione sembra inverosimile, ma il giornalismo investigativo di interesse pubblico è stato abbastanza facilmente attratto dall’ idea di un sostegno non profit.
Diversi fondi e iniziative che puntano a produrre Giornalismo investigativo di alta qualità sono nate, seguendo la scia di organizzazioni come ProPublica o la VoiceOfSanDiego. Testate locali nonprofit sono diventate abbastanza numerose negli Stati Uniti: negli ultimi 3 mesi sono nati Bay Area News Project (settembre), Oakland Local (ottobre), Texas Tribune (novembre), così come la Chicago News Cooperative e il California Watc (primi di dicembre).

Tutte queste iniziative sono delle buone notizie per il giornalismo, ma sono sostenibili? Qualcuno sostiene che in realtà il concetto di nonprofit sta sostenendo un modello economico sbagliato e rischia di limitare il potenziale di innovazione. Il tempo ci dirà chi ha ragione.

Ci sono soldi nel mobile?

Gli smart phone stanno diventando sempre più comuni e potrebbero diventare la norma nel 2010. Molte applicazioni nel campo dell’ informazione in grado di consentire una esperienza di lettura migliore sono state realizzate per l’ iPhone della Apple, e altre per l’ Android di Google e i sistemi operativi creati per New York Times, Guardian e Associated Press vengono generalmente considerati fra i migliori. L’ applicazione per il Guardian è stata venduta in 9.000 esemplari nei primi due giorni.

Ma possono costituire in questo momento un flusso significativo di reddito?

Molte sono gratuite e le applicazioni come quella del Guardian- che prevede un pagamento per download (ma c’ è qualcosa per cui i consumatori sarebbero contenti di pagare?)- possono consentire di coprire in parte i costi degli investimenti, ma non possono assicurare un reddito regolare. La pubblicità per ora èlimitata – non c’ è abbastanza spazio sullo schermo. Anche se riempire tutto lo schermo sembra sia il metodo preferito da alcuni giornali sull’ iPhone: l’ applicazione di Le Monde’s ad esempio si apre con una inserzione a tutta pagina.

E’ possible anche fornire contenuti via abbonamento. L’ iPhione del Financial Times, ad esempio, consente un accesso pieno solo agli abbonati e il Wall Street Journal ha offerto una specifica applicazione per abbonarsi: $1.50 alla settimana.

Ci saranno altri che lo faranno? Si può convincere i consumatori a pagare sul loro cellulare quello che possono ottenere gratis online?

E-readers: le promesse non sono state mantenute, succederà nel 2010?

Kindle, anche se ampiamente adottato da diversi giornali, non ha risposto pienamente alle aspettative. Gli editori ricavano circa il 30% di quello che paga l’ abbonato, e in più gli e-readers sono ancora troppo costosi per molte persone e ben lontani dall’ essere un prodotto ‘’must’’. Tra l’ altro gli utenti di Kindle sono generalmente di una certa età.

Ma le cose possono cambiare? Nuovi prodotti come il Nook e il lettore aggiornato di Sony stanno entrando nel mercato e l’ e-reader della Plastic Logic, Que, dovrebbe uscire a gennaio. Un gruppo di editori si sono associati per sviluppare un loro e-reader.

Questa competizione rafforzerà l’ offerta di lettori? Già ora, Sony apparentemente sta offrendo uno share di reddito migliore di quello di Amazon, dando così presumibilmente a editori e lettori una scelta di prezzi più competitiva.

Oppure gli e-readers verranno superato dai tablet? Quello della Apple è atteso per l’ inizio del 2010 e dovrebbe avere maggiori funzionalità. Prodotti come questi potrebbero richiamare molto di più le nuove generazioni?


Google: chi va là?

Il conflitto sul copyright e iI diritti d’ autore hanno raggiunto quest’ anno nuovi livelli. Gli attacchi contro Google e gli altri ‘’ladri di contenuti’’ che hanno costruito un modello economico sui contenuti dei giornali sono arrivati da varie direzioni: con la News Corp che guida la battaglia negli Usa affiancata da editori: Spagnoli e Tedeschi. Google sostanzialmente resplica che nei fatti essa è amica degli editori, citando il miliardo di click che manda sui siti di informazione ogni mese attraverso Google News e precisando che gli editori possono facilmente scegliere se far indicizzare o meno I loro contenuti dai robot. Gli editori controbattono che l’ attuale quasi-monopolio di Google nel campo delle ricerche renderebbe quella scelta molto difficile.

Ma è pensabile che nel 2010 ci possa essere un riavvicinamento? Google ha fattio alcune mosse conciliatrici – per esempio ha aggiornato il suo programma ‘First Click Free’ per consentire agli editori un maggiore controllo su quail contenuti del proprio sito possono essere accessibili gratuitamente, ha lanciato il suo primo progetto di condivisione dei ricavi con gli editori, Fast Flip, e ha creato nuovi modi di vedere le notizie, attraverso Living Stories, che potrebbe offrire un grande potenziali pubblicitario se venisse ulteriormente sviluppato.

Al Congresso mondiale dei giornali dei primi di dicembre, il presidente di INM’s Gavin O’Reilly e David Drummond di Google sono apparsi molto lontani da un accordo anche se hanno convenuto che avrebbero continuato a incontrarsi in futuro per affrontare e risolvere la questione. Editori e Google riusciranno a trovare un compromesso? Oppure Microsoft e Bing si inseriranno nel conflitto rimescolando tutte le carte?

Cooperazione

Una delle conseguenze delle estreme difficiltà finanziarie è stata una inattesa cooperazione fra ex rivali: è diventato molto duro e molto poco auspicabile rimanere completamente soli.

Pochi esempi:

Tra rivali: la condivisione di contenuti è diventata più diffusa. Per esempio la Ohio News Organisation, un gruppo di sette quotidiani che hanno cominciato a condividere dei materiali per sostituire la copertura dell’ Associated Press, hanno prodotto dei servizi in collaborazione nel novembre scorso.

Tra vecchi e nuovi media: anche uno dei più prestigiosi quotidiani degli Stati Uniti ha accettato la necessità di collaborare con dei progetti di nuovi media. In agosto, il New York Times ha collaborato con il sito di giornalismo investigativo nonprofit Propublica , pubblicando un ampio articolo sulle conseguenze dell’uragano Katrina, che è costato circa 400.000 dollari. Il quotidiano ha pubblicato anche un articolo sulla mega-isola di rifiuti che si è formata nel Pacifico, servizio che era stato realizzato da Spot.Us attraverso una iniziativa di crowd-funded journalism. In entrambi i casi si trattava di servizi che altrimenti il giornale non avrebbe probabilmente potuto pubblicare.

Tra piattaforme diverse
: in molti giornali carta e web non sono più in competizione, ma vengono lavorati dalla stessa unica Redazione. Il Washington Post è l’ ultimo grande giornale ad affrontare l’ integrazione.