Vita dura per i media indipendenti anche nell’ ”altro Iraq”

out-31.jpg Anche nella regione curda, descritta come pacifica e democratica, arresti, aggressioni, e intimidazioni contro i giornalisti avvengono regolarmente, e si sono anzi intensificati di pari passo con lo sviluppo di una stampa indipendente – In un articolo su Osservatorio Iraq una sintesi del Rapporto preparato dal CPJ

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“Presentata come un faro della democrazia e della libertà di espressione, la regione kurda – formata dalle tre province settentrionali di Dahuk, Irbil, e Sulaimaniya  – a uno sguardo più ravvicinato mostra una faccia un po’ diversa.

Arresti, aggressioni, e intimidazioni contro i giornalisti avvengono regolarmente, e si sono molto intensificati negli ultimi tre anni, di pari passo con lo sviluppo di una stampa indipendente, di dimensioni modeste ma combattiva”.Lo racconta Ornella Sangiovanni in un un articolo molto interessante sull’ Osservatorio Iraq, segnalando un Rapporto appena pubblicato del Committee to Protect Journalists (CPJ), organizzazione per la difesa della libertà di stampa che ha sede a New York.
Frutto di una missione di due settimane nel Kurdistan iracheno, fatta nei mesi di ottobre e novembre 2007, le 10 pagine del Rapporto – rileva l’ articolo – forniscono una panoramica istruttiva, ed equilibrata, dell’ambiente nel quale si trovano a operare i media indipendenti.

Si tratta sostanzialmente di due giornali – un bisettimanale fondato nel 2000 da un gruppo di intellettuali di Sulaimaniya, uno dei due principali centri della regione kurda, Hawlati, che, con le sue 20.000 copie è il giornale più letto nel Kurdistan iracheno, e ha una reputazione consolidata di autorevolezza e indipendenza. E Awene, con 15.000 copie.

A questi si è aggiunto di recente Rozhnama, quotidiano fondato da Nawshirwan Mustafa, un ex leader dell’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) – uno dei due maggiori partiti kurdi e quello guidato dall’attuale presidente iracheno Jalal Talabani.

I media indipendenti – spiega Sangiovanni – “offrono al loro pubblico articoli graffianti nei confronti di chi comanda, e danno voce al malcontento popolare.

A essere presi di mira sono soprattutto i due maggiori partiti kurdi, che da sempre si spartiscono il controllo della regione: il PUK già citato e il Partito Democratico del Kurdistan (KDP), con i loro leader – Jalal Talabani e Mas’ud Barzani, quest’ultimo storico capo kurdo e attuale presidente del Kurdistan.

Leader che non reagiscono con molto fair play, e a volte usano la mano pesante”.

Le autorità, pur sostenendo che ci sarebbe “tutta l’intenzione di garantire la libertà dei media”, accusano giornalisti e testate di “mancanza di professionalità”.

“Non sosteniamo di essere perfetti”, ha detto al CPJ Falah Bakir, capo del Dipartimento relazioni estere del KDP, il partito di Barzani, durante un incontro a Irbil, sottolineando che la transizione verso la democrazia deve passare attraverso molte fasi.

“Ritengo che nel Kurdistan iracheno stiamo facendo passi avanti”, ha aggiunto. “Vogliamo avere una stampa libera, vogliamo che i giornalisti siano rispettati e che la voce della gente venga ascoltata, ma [i giornalisti] mancano di esperienza professionale”.

Quanto alle aggressioni contro i giornalisti, per le quali nessuno finora è stato arrestato, Bakir sostiene che le indagini sono in corso.

Ma anche la nuova legge sui media, secondo l’ Osservatorio Iraq, non promette niente di buono.

Approvata dal Parlamento regionale nel dicembre 2007, prevede multe che vanno dai 3 milioni ai 10 milioni di dinari iracheni (da 2.450 a 8.200 dollari Usa), e sei mesi di sospensione delle pubblicazioni per i giornali – per reati vaghi come turbamento della sicurezza, “diffusione della paura”, o “incoraggiamento al terrorismo”.

Dato che i media indipendenti hanno una situazione finanziaria fragile, questo potrebbe permettere a magistrati filo-governativi di costringerli alla chiusura.

Subito dopo la sua approvazione, la legge ha suscitato critiche e – numerose – proteste sia da parte dei giornalisti kurdi che di organismi internazionali per la difesa della libertà di stampa, fra i quali, appunto, il CPJ.

Proteste che hanno costretto Barzani, il presidente della regione kurda, a porre il suo veto, e rinviare la misura al Parlamento regionale perché venga emendata.

Barzani, incontrando dei rappresentanti del CPJ che gli consegnavano una copia del Rapporto, ha dichiarato che il suo governo è impegnato a “creare una atmosfera favorevole al giornalismo”.

La colpa – ha sottolineato – è della mancanza di professionalità di molti giornalisti, i cui articoli dovrebbero essere basati su informazioni concrete.

Perché i media – ha affermato il presidente del Kurdistan – “non dovrebbero essere usati come strumento per diffamare altri”.
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Il rapporto integrale del Cpj: The Other Iraq.