Internet non può essere un sostituto per l’ industria dei giornali in agonia

Chris Hedges Il declino dei giornali è dovuto alla crescita dello stato corporativo, all’ affievolirsi del senso civico e della responsabilità nell’ informazione per i cittadini – Un articolo di Chris Hedges (nella foto) su Alternet – “Quelli che si rivolgono a internet finiscono per gravitare intorno a dei siti che rinforzano le loro idee. Il filtraggio dell’ informazione attraverso una lente ideologica, che sta distruggendo il giornalismo televisivo, svuota l’ obbiettivo della ricerca delle notizie. Il giornalismo è diventato trasmissione di informazioni che non mettono in dubbio quello che tu pensi”.

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di Chris Hedges*
(“The Internet Is No Substitute for the Dying Newspaper Industry”, Alternet.com )
 

Il declino dei giornali non è dovuto alla sosituzione di una tecnologia antiquata da parte dell’ informazione superveloce che passa su internet. Esso non segnala un inevitabile e salutare cambiamento. Non è una forma di progresso. Il declino dei giornali ha a che fare con l’ ascesa dello stato corporativo, l’ affievolirsi del senso civico e della responsabilità pubblica in gran parte della nostra classe imprenditoriale e con la povertà intellettuale del nostro mondo post-letterato, un mondo in cui l’ informazione è convogliata soprattutto attraverso immagini in rapido movimento piuttosto che attraverso la stampa.    

Tutte queste forze messe insieme hanno operato per soffocare i giornali. E il sangue che scorre, quest’ anno, è veramente disperante. Qualcosa come 6.000 giornalisti in tutti gli Stati Uniti hanno perso il lavoro, le pagine di informazione vengono radicalmente tagliate e le azioni de giornali sono precipitate. I ricavi pubbliictaru stanno drammaticamente precipitando, con tassi a due cifre per molti giornali. Il gruppo  McClatchy Co., che edita il Miami Herald, ha registrato quest’ anno un crollo del 77%. Lee Enterprises Inc., proprietario del St. Louis Post-Dispatch, è sceso dell’ 84%. La  Gannett Co., che pubblica  USA Today, è in calo del 17% l’ anno. E il San Francisco Chronicle ora sta perdendo 1 milione di dollari a settimana.

Internet non salverà i giornali. Sebbene tutti i principali giornali, ma anche quelli piccoli, abbiano dei siti web, anche da diverso tempo, questi ultimi raccolgono meno del 10% dei ricavi dei giornali. Gli analisti dicono che, sebbene i ricavi dal Net ammontino a 21 miliardi di dollari all’ anno, si tratta di una cifra relativamente piccola. Finora, gli inserzionisti che contano veramente sono stati alla larga, incerti sull’ uso di internet o dubbiosi sul fatto che esso possa colpire l’ attenzione dei lettori dei vecchi media.

I giornali, quando le cose vanno bene, sono un servizio pubblico. Forniscono ai cittadini i mezzi per analizzarli, per scoprire le bugie e gli abusi di potere da parte dei rappresentanti eletti e la corruzione negli affari, danno voce a quelli che, senza la stampa, non potrebbero averla, e consentono di seguire, in un modo che come privati cittadini non potrebbero avere, il lavoro quotidiano del governo locale, statale e federale.

I giornali assumono persone per scrivere sull’ amministrazione locale, o quella statale, sulle campagne politiche, su sport, musica, arte e teatro. Rendono i cittadini impegnati sul piano della loro vita culturale, civica e politica.

Quando ho cominciato come corrispondente dall’ estero 25 anni fa, i principali giornali avevano uffici in America Latina, in Medio Oriente, Europa, Asia e a Mosca. Cronisti e fotografi mostravano agli americani come il mondo oltre frontiera viveva, pensava e credeva. Molto di ttto questo è svalito o sta svanendo.

Viviamo nella illusione felice di poter trasferire su internet tutto il lavoro di raccolta delle informazioni. Lavoro che continua ad esistere in siti web come questo, o come ProPublica e Slate, ma questa tradizione ora deve confrontarsi con una nuova pratica partigiana, assai diffusa ed ideologicamente pilotata, che domina la diffusione delle immagini e delle informazioni, da Fox News alle lagne dei blog. La maggioranza dei blogger e dei fissati di Internet, come le lunghe file di gente che parla in tv, non cercano notizie. Sono in gran parte parassiti che succhiano dai media tradizionali. Possono produrre commenti acuti e profondi, accolti felicemente come una rottura del monopolio sulle opinioni da parte dei grandi giornali, ma raramente si attaccano al telefono oppure scendono in strada a ercare qualche notizia. Quasi tutto il lavoro di diffusione delle notizie – Io penso almeno l’ 80% – viene fatto dai giornali e dalle agenzie. Se escludiamo questi ultimi avremo un enorme buco nero.

Quelli che si rivolgono a internet finiscono per gravitare intorno a dei siti che rinforzano le loro idee. Il filtraggio dell’ informazione attraverso una lente ideologica, che sta distruggendo il giornalismo televisivo, svuota l’ obbiettivo della ricerca delle notizie. Il giornalismo è diventato trasmissione di informazioni che non mettono in dubbio quello che tu pensi. La ricera delle notizie può mettere in forse o destabilizzare opinioni stabilizzate. Il cercare le notizie, che richiede tepo ed è spess costoso, parte dalla premessa che ci sono delle cose che abbiamo bisogno di sapere  e capire, anche se esse ci mettono a disagio. Se abbandoniamo questa etica finiamo nella ruffianeria, nell’ abbellimento e nella parzialità. Finiamo in un mare di propagande in competizione fra loro. I blogger, diversamente dai reporter maturi, raramente ammettono i loro errori. Non possono essere attaccati. I fatti, per molti blogger, sono intercambiabili con le opinioni.

Provate a dare uno sguardo al Drudge Report. Potrebbe essere il nuovo volto di quelle che noi chiamiamo notizie. Quando le redazioni tradizionali vanno a testa in giù noi perdiamo una grade ricchezza di esperienze e di informazioni. La nostra democrazia riceverà un duro colpo. Il tempo medio di lettura di un lettore del  New York Times su carta è di circa 45 minuti. Il tempo medio di impegno di un lettore del sito web del New York Times è di circa 7 minuti. C’ è una forte differenza fra navigare e leggere. Quando su internet c’ è un pezzo molto lungo molti la maggior parte di noi lo stampiano per leggerl meglio.

La crescita dello stato corporativo ha fatto di tutto, poi, per decimare la tradizionale ricerca delle notizie. Time Warner, Disney, la News Corp. di Rupert Murdoch, General Electric e Viacom controllano quasi tutto quello che noi leggiamo, guardiamo, ascoltiamo e, ultimamemnte, pensiamo. E le notizie che non fanno profitti, quelle che non distolgono l’ attenzione dei cittadini dalla partecipazione civica e non sfidano lo status quo, vengono scartate. E’ per questo i grandi network hanno chiuso i loro uffici esteri. E’ per questo che le trasmissioni tv via cavo, con i suoi conduttori chiacchieroni, si somigliano tutte (…). E’ per questo che  personalità dell’ informazione televisiva, come Katie Couric, sono diventate grandi celebrità che guadgnano, nel suo caso, 15 milioni di dllari all’ anno. E’ per questo che giornali come il Los Angeles Times e il Chicago Tribune vengono brutalmente cannibalizzati da squali degli affari come Sam Zell. Le grandi corporation non sono nell’ industria delle notizie. Esse odiano le notizie, quelle vere. La notizia vera non è conveniente per la loro voglia di spogliare la nazione. Le notizie vere inducono i cittadini a porsi delle domande. Esse preferiscono chiudere gli occhi curiosi dei cronisti. Preferiscono trasformare le notizie in un’ altra forma sciocca di divertimento e di intrattenimento.

Una democrazia sopravvive quando i cittadini hanno accesso a delle credibili e imparziali fonti di informazione, quando si riesce a distinguere le bugie dalla verità. Elimina questo e la democrazia muore. La fusione di notizie e intrattenimento, la crescita di una classe di celebrità giornalistiche televisive che definisono il giornalismo a seconda del loro grado di accesso alla fama e al potere, il ritiro di molti lettori nei ghetti ideologici di internet e la spietata marcia delle corporation verso la distruzione dell’ industria tradizionale dell’ informazione, ci sta lasciando sordi, muti e ciechi.

Ci siamo divertiti parecchio durante il nostro declino. Abbiamo la nostra versione del panem et circensens di Roma, con i nostri elaborati spettacoli, eventi sportivi, il gossip sui vip e i reality show. Le società in declino, come scrisse Cicerone,  vedono il loro discorso civile e politico contaminato dall’ eccitazione e dalle emozioni dell’ arena. E i cittadini in queste società degradate – avvertiva – finiscono sempre per essere dominate da un despota, che sia un Nerone o un George W. Bush.
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*Christopher Hedges è un giornalista e scrittore esperto di politica americana e medio-orientale. E’ stato per quasi vent’anni corrispondente estero in Medio Oriente, America centrale, Africa e Balcani per il Christian Science Monitor, la National Public Radio, il Dallas Morning News e il New York Times. Nel 2002 ha ricevuto da Amnesty International il Global Award for Human Rights Journalism e ha fatto parte di un’equipe che ha vinto il Premio Pulitzer per gli articoli sul terrorismo globale pubblicati dal New York Times’ . Ha scritto vari libri, tra cui “War is a Force that Gives Us Meaning” e “American Fascists: The Christian Right and the War on America”.
(
http://en.wikipedia.org/wiki/Chris_Hedges)