CITIZEN JOURNALISM PER SALVARE I QUOTIDIANI DAL SUICIDIO

Per impedire l’ estinzione dei ”dinosauri” nell’ era dei new media, sostiene John Nichols in un ampio articolo su The Nation, non bisogna lasciare il dibattito alle gradi corporation editoriali, che hanno miseramente fallito, e i cittadini devono essere spinti a partecipare al processo di produzione dell’ informazione insieme ai giornalisti
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«I quotidiani americani assomigliano ai dinosauri dell’era dei new media, massicci enormi giganti dai costi eccessivi per essere preparati e distribuiti, e che non sembrano poter attirare lettori giovani-e neppure di mezza età-nella quantità necessaria per sopravvivere». E’ una parte dell’introduzione della
cover story
dell’ultimo numero del settimanale progressista The Nation , centrato su un tema di grande attualità, il futuro del giornale e, per estensione, del giornalismo come strumento essenziale per una cittadinanza informata e partecipativa.

Nonostante la Tv imperante e la penetrazione di Internet, scrive John Nichols, uno dei pionieri del blogging politico statunitense, «Per la maggior parte sono ancora i quotidiani a dettare i parametri di quel viene o non viene riportato.Inoltre, né il broadcast né i media digitali hanno sviluppato l’infrastruttura redazionale o il livello di credibilità tipico dei giornali».

Aggiungendo come, nonostante il corteggiamento continuo alle grandi testate da parte dell’amministrazione Bush e anche dei candidati alle presidenziali del 2004, è innegabile la forte crisi in cui versa l’intera industria.

Ancor peggio: le cifre del calo diffuso della circolazione (tra cui, nell’arco di sei mesi del 2006: Los Angeles Times meno 8%, New York Times meno 3,5%, Washington Post 3,3%) e l’annessa migrazione massiccia degli inserzionisti su craigslist e altri siti web, non devono far pensare «si tratti di una tendenza temporanea».
Citando le crescenti ondate di licenziamenti-oltre 44.000 impiegati nel mondo dell’informazione Usa, di cui 30.000 nei quotidiani, negli ultimi cinque anni- Nichols passa ad analizzare la situazione a livello di proprietà in vari gruppi editoriali per ribadire l’eccessiva concentrazione dei media segnalata nello
State of the News Media 2006
del Project for Excellence in Journalism.

In un certo senso, però, i quotidiani non stanno morendo ma commettendo suicidio, come ricordava di recente
Molly Ivins
– figura storica nell’ambiente politico-giornalistico Usa, scomparsa alcuni giorni fa ad Austin e il cui lavoro merita attenta considerazione. Nel senso che vanno dedicando sempre meno spazio alla vita civica e politica, abdicando così la propria funzione cruciale per il processo democratico, proprio come fanno da tempo le reti Tv e pur con l’esplosione di siti e blog vari, «il web deve ancora imporsi come una specifica forza giornalistica».

In Europa, prosegue l’analisi di The Nation, le proprietà dei conglomerati sono state più creative ed aggressive nell’adattarsi alle mutate circostanze in cui si trova a operare il quotidiano. In Norvegia, Svezia e Finlandia, pur se Internet e la radio-Tv svolgono un ruolo importante nell’informazione quotidiana, interventi di tutela governativa e altre policy innovative vanno rilanciando la sostanza del giornalismo tradizionale. Come accade per il gruppo scandinavo Orkla Media/Mecom Europe, editore di uno dei giornali online di maggior successo al mondo, il tedesco Netzeitung : «Non è un blog, né un search engine o un news-aggregator», spiega il professor Jeff Jarvis. «È un quotidiano senza la carta ma con 60 giornalisti che fanno informazione».

E il futuro? L’importante è non lasciare il dibattito nelle mani delle corporation che hanno dimostrato di fallire alla grande,
insiste Nichols
. Concludendo con un pressante invito diretto al citizen journalism: «I cittadini (americani) che riconoscono come i giornali rimangano, almeno per ora, generatori essenziali di giornalismo e che la raccolta e l’analisi seria di notizie sia ancora necessaria per una cittadinanza informata e partecipativa, devono unirsi a reporter e redattori nella battaglia per assicurarsi che, qualora i quotidiani non dovessero farcela, il giornalismo continuerà a sopravvivere».

(a cura di Bernardo Parrella)