UN GIORNALISTA DETENUTO A GUANTANAMO: LA MALATTIA COME METODO DI ”INTERROGATORIO” – RSF ACCUSATA DI AVERLO ”IGNORATO”

I detenuti nel carcere di Guantanamo, anche quando sono affetti da gravi patologie, non vengono curati o sono assistiti con negligenza da parte del personale sanitario. Lo afferma il cineoperatore sudanese Sami Al-Hajj (nella foto), detenuto nella base Usa dal 2002, in una lettera. Inoltre,spiega, spesso si usa la sofferenza dei detenuti malati come mezzo per farli “collaborare” durante gli interrogatori a cui sono sottoposti dai militari americani – Sulla vicenda intanto Salim Lamrani, un noto studioso di vicende cubane, attacca duramente Reporters sans frontières, accusandola di aver ‘’completamente ignorato’’ il calvario da lui sopportato.

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I detenuti nel carcere di Guantanamo, anche quando sono affetti da gravi patologie non vengono curati o sono assistiti con negligenza da parte del personale sanitario. Inoltre, spesso si usa la sofferenza dei detenuti malati come mezzo per farli “collaborare” durante gli interrogatori a cui sono sottoposti dai militari americani.

Lo racconta, in una lettera al suo avvocato, Sami Al-Hajj, un cineoperatore di Al Jazira che da quattro anni è detenuto nel carcere della base Usa di Guantanamo. Questa e un’ altra lettera, che risalgono al luglio scorso, confermano le pesanti accuse contenute nel Rapporto – di cui si è saputo in questi giorni – in cui alcuni osservatori dell’ Onu denunciano il regime di violenti abusi, che a volte sconfinano nella tortura*, instaurato dal Pentagono in quel carcere.

Sami al-Hajj,somalo, è stato arrestato nel 2002 in Afghanistan, dove si trovava per conto della tv del Qatar. Dopo un’iniziale permanenza nella base americana di Bagram, in Afghanistan, al-Hajj è stato trasferito a Guantanamo, da dove ha scritto queste lettere al suo avvocato britannico Clive Stafford-Smith.

Le lettere sono state pubblicate qualche giorno fa su www.al-jazira.it.

‘’Nel corso di questi anni di detenzione – afferma il sito – ad al-Hajj non è stata rivolta alcuna accusa formale e non ha mai affrontato un processo. La sua testimonianza è un pesante atto d’accusa nei confronti delle gravi e ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate dall’esercito americano a Guantanamo’’.


15 Luglio 2005

Caro Clive,

che i tuoi giorni siano lieti.
Permettimi di farti sapere che sono preoccupato dal mio stato di salute, che è iniziato a peggiorare di giorno in giorno. Sai bene che i prigionieri nella baia di Guantanamo, famigerato nuovo gulag, continuano a soffrire per la fragilità dei servizi medici: in tutte le celle del carcere risuonano i gemiti e i lamenti dei malati; così, Najib, marocchino, sopporta il dolore alla mano, fratturata durante i famosi fatti della fortezza di Janghi, nel 2001.

Ma la sconvolgente scoperta a cui sono giunti gli esperti medici e farmacisti del nuovo gulag, è che l’acqua è un rimedio per tutti i mali.
L’acqua è certamente una cura per tutte le malattie, per cui quando un prigioniero si lamenta per una malattia, che si tratti di un raffreddore, di dolori alla schiena o di una forma allergica, la ricetta è pronta sulla lingua del farmacista: “bevi dell’acqua!”. A chi soffre di tonsillite: “bevi dell’acqua!”.

“Bevi dell’acqua!”, perfino il secondino è giunto al punto di dirlo, quando gli viene chiesto di trasferire un prigioniero malato per un’emergenza, si sbriga pronunciando la ricetta medica: “Bevi dell’acqua!”.


(segue qui ).

Un’ altra lettera è consultabile qui.

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La vicenda di Sami al-Hajj è – tra l’altro – al centro di un durissimo articolo in cui Salim Lamrani, un noto studioso della storia cubana, accusa Reporters sans frontières di aver ‘’completamente ignorato’’ il calvario da lui sopportato sostenendo che ‘’il silenzio osservato dall’ organizzazione di ‘difesa della libertà della stampa’, suscita numerosi dubbi sull’ imparzialità dell’associazione diretta dal sig. Robert Ménard’’**.

RSF E IL SILENZIO SUL GIORNALISTA TORTURATO

di Salim Lamrani***

(da www.legrandsoir.info ).

Il silenzio osservato dall’organizzazione di “difesa della libertà
di stampa” Reporters senza frontiere (Rsf) sul giornalista
sudanese Sami Al Hajj, suscita numerosi dubbi sull’ imparzialità dell’associazione diretta da Robert Ménard. Sempre pronta a stigmatizzare, spesso in modo arbitrario, alcuni paesi nel mirino di Washington come Cuba, il Venezuela e la
Cina, Rsf ha completamente ignorato il calvario sopportato da Al
Hajj, che lavora per la rete televisiva del Qatar Al Jazeera.

Il 22 settembre 2001, Al Jazeera ha inviato un gruppo di giornalisti,
di cui faceva parte Al Hajj, ad indagare sul conflitto in
Afganistan. Dopo 18 giorni di lavoro, il gruppo si è ritirato in
Pakistan. Nel dicembre 2001 Al Hajj è tornato con i suoi
colleghi per seguire il conferimento del mandato al nuovo governo afgano.
Ma, prima che egli potesse raggiungere la frontiera, la polizia
pakistana lo ha arrestato, rilasciando gli altri membri del gruppo.

Consegnato alle autorità statunitensi di stanza in Afganistan, il
Al Hajj ha vissuto un vero incubo presso la base aerea di Bagram.
“Sono stati i peggiori (giorni) della mia vita”, ha testimoniato. Ha
raccontato di essere stato vittima di abusi sessuali e di essere stato
minacciato di stupro dai soldati nordamericani. E’
stato anche pesantemente torturato seriamente per mesi. Le sevizie nei suoi confronti sono state molteplici. Era obbligato a mettersi in ginocchia per terra per ore e ore, con i cani che lo incalzavano e lo attaccavano
costantemente. Il giornalista sudanese è stato anche rinchiuso a lungo
in una gabbia e messo in un capannone per aerei senza riscaldamento e con un clima glaciale. Gli sono stati strappati – ha raccontato ancora – i capelli e i peli della barba
e i suoi aguzzini lo hanno ripetutamente ‘’pestato’’ e, per circa 100 giorni non ha ottenuto l’ autorizzazione a lavarsi, nonostante il suo corpo fosse coperto di pustole.

Il 13 giugno 2002, Sami Al Hajj è stato spedito a Guantanamo.
Durante il volo è stato tenuto incatenato e con un sacco sulla testa. Ogni volta che la stanchezza prendeva il sopravvento veniva seccamente svegliato dalle sue guardie che lo colpivano alla testa.
Prima del suo primo interrogatorio, gli è stato impedito di dormire per 48 ore. “Per oltre tre anni la maggior parte di miei
interrogatori avevano lo scopo di farmi dire che esisteva una relazione tra
Al Jazeera ed Al Quaeda”, ha raccontato al suo a avvocato.

Sul territorio cubano illegalmente occupato dagli Stati Uniti,
il reporter sudanese non ha ricevuto alcuna cura medica, pur essendo stato colpito da un cancro alla gola nel 1998 e soffrendo di reumatismi. E’ stato picchiato sulla pianta dei piedi e intimidito da cani che lo minacciavano. È stato vittima di comportamenti razzisti e non è stato autorizzato a usufruire delle ore d’aria per passeggiare a causa
del colore della pelle. È stato anche testimone di una profanazione del
Corano nel 2003 e, con il suo co-detenuto, ha iniziato lo sciopero
della fame. La reazione dell’esercito statunitense alla protesta è
stata estremamente violenta: è stato picchiato e gettato
dalla cima delle scale, così da ferirsi seriamente la testa. È
stato in seguito isolato prima di essere trasferito verso il campo V, il
più duro di tutti i centri di detenzione di Guantanamo, dove è
stato classificato al livello di sicurezza 4, livello che comporta le peggiori brutalità.

Questa testimonianza, pesante per l’amministrazione Bush che rifiuta da sempre
di accordare lo statuto di prigionieri di guerra ai detenuti di
Guantanamo, si aggiunge a due dichiarazioni fatte da altre vittime ad
Amnesty International, anch’esse molto pesanti. Tuttavia, queste vicende
costituiscono soltanto la punta emersa dell’iceberg. A Guantanamo, il
crimine è doppio: gli Stati Uniti infliggono le barbarie più inumane
a persone sequestrate senza prove formali, ed occupano con la forza
una parte del territorio della nazione sovrana di Cuba.

La collusione tra Rsf e Washington è già stata illustrata nel caso del
cameraman spagnolo José Couso, assassinato dai soldati della
coalizione. Nella sua relazione, l’ associazione parigina aveva escluso qualsiasi responsabilità delle forze armate statunitensi, nonostante le
prove flagranti. La complicità tra Rsf e il dipartimento di Stato
nordamericano erano tali che la famiglia del giornalista ha
denunciato la relazione e ha chiesto a Ménard di ritirarsi
dall’ inchiesta. La complicità è anche ovvia nel caso di Cuba, dove Rsf
trasforma agenti degli Stati Uniti in “giornalisti indipendenti”, pur in presenza, in questo caso, di informazioni incontestabili.

Le autorità Usa sono soddisfatte delle relazioni tendenziose
di Rsf e le utilizzano anche nella loro guerra propagandista contro
Cuba. Il Sig. Michael Parmly, capo della sezione di interessi
Nordamericana all’ Avana, è arrivato a sostenere che il 20 per cento dei giornalisti
imprigionati nel mondo “si trova a Cuba”. Reporters senza frontiere ha
recentemente diffuso una classifica di 164 paesi nel campo della libertà della stampa e Cuba è stata classificata al penultimo posto, davanti alla Corea del Nord.

Contestata per la sua costante stigmatizzazione di Cuba sulla base di dati di fatto erronei e per il suo allineamento al punto di
vista statunitense, Rsf ha tentato di rispondere alle accuse. Ma la
mancanza di coerenza del suo comunicato ha fatto sì che le opinioni
contradditorie espresse abbiano finito per rafforzare le supposizioni.
In effetti, il sig. Ménard non ha fornito affatto spiegazioni convicenti sui
legami incerti e le diverse riunioni della sua organizzazione con la
destra estrema cubana della Florida. Il segretario generale di Rsf è arrivato persino a dichiarare
la sua ammirazione per il Franck
Calzón, presidente del Center for a Free Cuba, una organizzazione
estremista finanziata dal congresso degli Stati Uniti. “Fa un lavoro
fantastico in favore dei democratici cubani”, ha garantito parlando di lui. Successivamente, Rsf è stata costretta a riconoscere
pubblicamente che riceveva un finanziamento da quello stesso Centro.

Analogamente RSF ha percepito contributi da parte del National Endowment for Democracy, organismo dipendente dal congresso ed
incaricato di promuovere la politica estera statunitense. Questo
finanziamento comporta un conflitto di interessi nell’ ambito
dell’organizzazione francese, poco pronta a denunciare le estorsioni
commesse da uno di suoi mecenati, cioè il governo degli Stati uniti.
Prima della pubblicazione da parte di Amnesty
International delle notizie sulla vicenda del giornalista sudanese, Ménard avrebbe sempre potuto tentare di
ignorare l’ esistenza di Sami Al Hajj. Ma, nonostante la massa di notizie internazionali su questi nuovi casi di tortura a Guantanamo, Rsf non ha mostrato di interessarsi a questo scandalo e si
è rifugiata in un mutismo rivelatore.

La censura di questo nuovo caso di grave violazione della libertà
di stampa commessa dall’ amministrazione Bush, non fa che confermare ancora di più l’ ambiguità del discorso di Rsf. Mentre
l’organizzazione attacca in modo eccessivo Cuba anche se i
casi evocati sono lungi dall’ essere convincenti, resta invece inerte di fronte al flagrante attentato all’ integrità di un giornalista, imprigionato e torturato
soltanto perché lavora per la catena televisiva Al Jazeera,
una voce estremamente influente nel mondo arabo e poco compiacente verso
Washington. La credibilità dell’organizzazione del sig. Ménard, già
fortemente scossa dal suo atteggiamento parziale e dai suoi legami con il
governo degli Stati uniti, è sempre più in discussione poiché tali silenzi, comparati con la ricorrenza ossessiva di alcuni
argomenti contro Cuba, non possono essere il frutto della casualità.


(traduzione di Marlisa Verti)

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*Qui di seguito il servizio dell’ Ansa sul Rapporto dell’ Onu

GUANTANAMO; ONU CENSURA PENTAGONO,METODI DA TORTURA/ANSA

(di Marco Bardazzi)

(ANSA) – WASHINGTON, 13 FEBBRAIO – I metodi utilizzati dal
Pentagono per gestire i detenuti di Guantanamo sono sulla soglia
della tortura e talvolta si spingono oltre. La situazione del
campo di prigionia sull’isola di Cuba e’ tale che gli Usa
dovrebbero deciderne la chiusura, trasferendo i detenuti sul
suolo americano per processarli. Parola dell’Onu, che ha
preparato un capo d’imputazione destinato a creare scintille tra
Washington e il Palazzo di vetro.

Nel giorno in cui il presidente George W.Bush ha ricevuto
alla Casa Bianca il segretario generale dell’Onu Kofi Annan – ma
per parlare della crisi del Darfur – il Los Angeles Times ha
anticipato i contenuti della bozza del rapporto di cinque
investigatori della Commissione sui diritti umani delle Nazioni
Unite, che criticano duramente le modalita’ con le quali gli Usa
trattano i circa 500 prigionieri che ancora si trovano nella
base militare (piu’ di 260 sono stati rilasciati dal 2002 a
oggi). Le conclusioni di 18 mesi d’indagine sono un atto
d’accusa sul quale, per ora, il Pentagono ha scelto la strada
del ‘no comment’.

”Abbiamo considerato con estrema cautela tutte le
argomentazioni del governo americano – ha detto Manfred Nowak,
uno dei cinque investigatori – e quelle che abbiamo raggiunto
non sono conclusioni scritte a cuor leggero. Cio’ che abbiamo
concluso e’ che la situazione in alcune aree viola la legge
internazionale e le convenzioni sui diritti umani e la
tortura”. A Washington e’ stata data la possibilita’ di
ribattere, prima della pubblicazione ufficiale del rapporto, ma
gli investigatori si aspettano che la sostanza delle conclusioni
non cambiera’ di molto.

La commissione non ha interrogato direttamente i prigionieri,
perche’ il Pentagono ha offerto agli inviati dell’Onu – che
hanno rifiutato – lo stesso tipo di visita guidata a Guantanamo
previsto per membri del Congresso e giornalisti, che non
permette l’accesso diretto ai detenuti. L’unica istituzione
internazionale alla quale e’ concesso di parlare con i
prigionieri e’ la Croce Rossa, le cui valutazioni sono pero’
coperte dal riserbo.

Le conclusioni degli investigatori dell’Onu si basano quindi
su colloqui e interrogatori a ex detenuti, avvocati, familiari
di prigionieri e personale del governo degli Stati Uniti. La
‘guerra al terrorismo’, hanno concluso i membri della
commissione d’inchiesta, non permette agli Usa alcuna esenzione
dalle convenzioni internazionali.

I metodi d’interrogatorio utilizzati a Guantanamo sono stati
tra i temi al centro delle preoccupazioni degli ispettori. L’uso
di tecniche come l’isolamento prolungato, l’esposizione ad alte
temperature, la rasatura forzata rappresentano un ‘trattamento
inumano’ e in alcuni casi, secondo il rapporto, raggiungono la
soglia della tortura.

Ma ci sono circostanze nelle quali, per l’Onu, quella soglia
e’ stata abbondantemente sorpassata. E’ il caso dell’
alimentazione forzata con sondino nasale per i detenuti in
sciopero della fame, che ha suscitato particolare preoccupazione
da parte della commissione. Il racconto di un detenuto
kuwaitiano, Fawzi Al Odah – attraverso il suo avvocato – ha
fatto emergere alcuni dettagli che gia’ la settimana scorsa
avevano fatto rumore negli Usa. Odah ha raccontato di aver
interrotto dopo cinque mesi uno sciopero della fame di protesta
perche’ intimidito dagli abusi fisici legati all’alimentazione
forzata.

L’avvocato del kuwaitiano, Thomas Wilner, ha fatto circolare
un ordine di servizio dello scorso 9 gennaio, firmato dal
comandante di Guantanamo, generale Jay Hood, che ha dato
disposizione di far immobilizzare su una sedia speciale i
prigionieri che rifiutano il cibo e di alimentarli due volte al
giorno con il sondino nasale. L’inserimento e l’estrazione del
tubicino, secondo le accuse, provoca sanguinamenti e vomito e a
peggiorare le cose ci sarebbe il ricorso da parte dei militari a
lassativi, mescolati alle sostanze nutritive, che provocano
forti defecazioni ai detenuti mentre sono ancora immobilizzati
sulla sedia.

Gli abusi con il sondino, insieme ad altre forme di punizione
(come la riduzione della disponibilita’ di biancheria, coperte e
scarpe per i detenuti) hanno spinto gran parte dei prigionieri a
sospendere la protesta. Il numero dei detenuti che rifiutano il
cibo sarebbe sceso nelle ultime settimane da 85 a soli quattro.(ANSA).

**Sull’ atteggiamento di Rsf su Cuba – al centro di dure polemiche da diversi anni – si può vedere anche un articolo – Perché Rsf si interessa tanto a Cuba? – pubblicato recensente su www.infoimpartiale.net , in cui, come del resto ha fatto lo stesso Lamrani, si utilizza l’ autodifesa dell’ organizzazione parigina per rilanciare nuovi pesantissimi attacchi.

*** di Lamrani vedi anche questo articolo. E, ancora, questo .