RUSSIA: DI NUOVO TUTTI IN FILA A MARCIARE?


L’ estromissione di Olga Romanova da Ren tv – Continua la resa dei conti fra Putin e l’ oligarchia – Un’ analisi degli ultimi 20 anni del giornalismo in Russia in un articolo di Nadezhda Azhgikhina , secondo cui si profila una nuova figura di giornalista, che starebbe cercando di imparare, come diceva Cechov , a ‘’strizzare fuori, a goccia a goccia, lo schiavo che ha dentro di s钒.

Olga Romanova, la giornalista russa estromessa qualche giorno fa da ‘Ren Tv’, l’ unica televisione russa diffusa a livello nazionale che manteneva una posizione critica nei confronti del Cremlino, non vorrebbe fare ‘’la fine di de Paul Khlebnikov », il caporedattore dell’ edizione russa di Forbes ucciso a colpi di pistola il 9 luglio del 2004 in una strada di Mosca.

Il 28 novembre, la direction di Ren-TV ha imposto ai suoi dipendenti di non riferire alla presentatrice informazioni sull’ attività dell’ emittente.

La decisione di estromettere la giornalista dalla conduzione del tg – decisione che gli oppositori del
presidente Vladimir Putin stigmatizzano come un ennesimo attacco alla liberta’ di informazione – era stata spiegata dalla stessa giornalista come una ritorsione per aver dato una notizia che i vertici
dell’emittente avevano chiesto di tacere: la morte in un incidente stradale di un’anziana passante, travolta da un’automobile guidata dal figlio del ministro della difesa Serghei Ivanov.

”Ho detto in diretta che era una notizia importante e che la gente aveva il diritto di sapere – ha raccontato venerdi’ scorso l’anchorwoman all’emittente Radio di Mosca – subito dopo mi hanno tolta dalla conduzione. E ieri notte, quando sono andata al lavoro sono stata fermata dagli agenti della sicurezza”.

La dirigenza di Ntv – recentemente passata nelle mani dell’azienda siderurgica ‘Severstal’, considerata vicina al Cremlino – si giustifica affermando di voler testare volti nuovi. Ma il siluramento di Romanova ha scatenato un putiferio fra gli oppositori democratici di Putin. ”Il trattamento riservato alla giornalista – ha commentato l’ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov in una dichiarazione all’agenzia Interfax – e’ un campanello d’allarme che ci avverte di come abbiamo perso l’ultima rete tv nazionale che manteneva un minimo di indipendenza e obiettivita’ nei suoi servizi”.

Per gli esponenti liberali, come il vicepresidente di ‘Iabloko’ Sergei Ivanenko, ”la liberta’ di parola e l’indipendenza dei giornalisti stanno scomparendo a un ritmo costante, e c’e’ un crescente rischio di qualcosa che in questo paese e’ fin troppo noto: tutti a marciare in fila unica”.

La vicenda va inquadrata nel durissimo scontro fra il Cremlino e alcuni settori dell’ oligarchia russa che, anche attraverso il controllo dei media, hanno cercato di costruire un contropotere rispetto a Putin e contro cui in questi anni il presidente russo ha scatenato una durissima resa dei conti.

E’ in questo quadro che si sviluppa un’ analisi della situazione dell’ informazione e del giornalismo in Russia di una nota giornalista, critica letteraria e militante femminista russa, Nadezhda Azhgikhina, dal titolo: ‘’Per 20 anni la stampa russa ha continuato a sognare la libertà: per quanto tempo ancora?’’, che pubblichiamo qui di seguito.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare – anche da titolo dell’ articolo – si tratta di un’ analisi con forti venature di ottimismo, almeno per quanto riguarda il profilarsi di una nuova generazione di giornalisti nata dopo la caduta del Muro e la perestroika.

‘’Contro l’ autocensura e il ritorno del monopolio statale sull’ informazione – afferma fra l’ altro la giornalista – una nuova era si sta aprendo per i giornalisti russi, che stanno cercando di imparare, come diceva Cechov , a ‘’strizzare fuori goccia a goccia lo schiavo che ha in s钒. Una nuova generazioni di giovani giornalisti attaccati più ai valori tradizionali dell’ intellighentsia russa (impegno civile e rispetto per la verità) che a quelli della cultura di massa’’.

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PER 20 ANNI LA STAMPA RUSSA
HA CONTINUATO A SOGNARE LA LIBERTA’:
PER QUANTO TEMPO ANCORA?

di Nadezhda Azhgikhina*

La libertà di espressione esiste nella Russia di oggi? La stampa è in grado di offrire qualcosa che si opponga al controllo del governo che continua a crescere illimitatamente? Oppure che si opponga alla pressione del mercato, che è quasi tanto forte quanto la ‘’paterna preoccupazione’’ dello Stato? Quale futuro attende i giornalisti russi? Questi temi sono stati già ampiamente discussi in tempi recenti dalla comunità professionale di giornalisti, stimolando accesi dibattiti e scontri di opinioni, molti dei quali spesso chiaramente caratterizzati da una nota di pessimismo.

E ci sono veramente molti motivi per essere pessimisti. I recenti eventi tragici in Russia e la minaccia di nuovi attacchi terroristici ha condotto, tra le altre cose, ad un’ovvia limitazione della libertà di stampa, rinforzando la già manifesta pressione statale sulle pubblicazioni e sulle imprese editoriali indipendenti. A dispetto dell’enorme quantità di testate di carta stampata (più di 30000, tra le quali ce ne sono abbastanza di private), la televisione nazionale è completamente controllata dallo stato e diffonde solamente il punto di vista ufficiale. I programmi polemici sono stati banditi dai canali nazionali, sostituiti da spettacoli di varietà vuoti e volgari o da soap opera. Molti giornalisti non nascondono il loro conformismo, rispondendo a vari tipi di commissioni politiche o sociali, disonorando in questo modo la professione. La direzione e le redazioni delle testate indipendenti, specialmente quelle che pubblicano inchieste polemiche, vanno costantemente incontro a dei rischi che partono da semplici azioni legali, per arrivare alle percosse ed infine anche all’omicidio.

Dal 1991 più di 250 giornalisti sono morti mentre stavano compiendo il loro dovere e molti di loro non stavano lavorando in situazioni difficili o in zone di guerra.

Ma ci sono comunque anche ragioni per essere ottimisti. Al di là delle pressioni politiche ed economiche, esistono centinaia di testate coraggiose e indipendenti nelle diverse regioni della Russia che dicono la verità ai loro lettori; migliaia di giornalisti considerano loro dovere servire i lettori e la giustizia e intervengono attivamente nella vita quotidiana, per difendere quei cittadini che sono stati ingannati o deprivati di qualcosa e per rincorrere una punizione per i colpevoli. Incontrando questi giornalisti, come faccio in ogni città che visito, provo un orgoglio genuino nei confronti dei miei colleghi e del giornalismo russo.
Vergogna e nello stesso tempo orgoglio nei confronti del giornalismo russo contemporaneo è una diretta conseguenza della nostra storia degli ultimi anni, così veloce e contraddittoria, che risulta anche difficile credere che tutto sia accaduto in un così breve intervallo di tempo. Anche i ricordi personali risultano fortemente contraddittori. Negli ultimi vent’anni io ho lavorato soprattutto per tre editori: agli inizi del anni ottanta per Gennady Seleznev al semi liberale Kosmomolskaia Pravda; per Vitaly Korotich durante l’era-perestroika dell’Ogonyok; e negli anni novanta per Vitaly Tretiakov al Nezavisimaia gazeta (Indipendent Gazette). E’ difficile immaginare che queste tre personalità e queste tre testate – ognuna simbolica e caratteristica a suo modo – sono realtà ancora oggi.

Il filosofo Mikhail Kapustin scrisse che non c’erano solo due culture nell’URSS (gli sfruttatori e gli sfruttati di cui parlava Lenin), ma tre: quella ufficiale (“la cultura degli automi”), quella dell’opposizione (i dissidenti), e la cultura che sta tra queste due, che comprende la maggior parte delle migliori opere letterarie, musicali e artistiche. E questo è vero anche per il giornalismo. Nello spazio tra la linea ufficiale perseguita dalla Pravda e il semizdat Chronicle of Current Events si inserivano i liberali Literaturnaia gazeta, Yunost, Sovetskaia Rossiia di Mikhail Nenashev e Komsomolka dell’editore Boris Pankin. Sulle pagine di questi giornali hanno trovato spazio le migliori penne e menti dell’epoca, che hanno educato i loro lettori ad una coscienza civica, facendo appello ad una vita migliore e risvegliando un desiderio ardente di giustizia e di verità che filtrava attraverso il linguaggio alla Esopo a cui l’occhio sovietico si era avvezzato. Tutti i più grandi principi e l’ideologia della Perestroika, infatti, eraano già formulati in modo latente nella stampa liberale sovietica.

Quella stampa prevedeva che venisse diffusa la verità circa il nostro tragico passato, che venissero valutati i crimini commessi e che il popolo guarisse dalle bugie, risollevando definitivamente le vittime della repressione e chiamando la corruzione e la stupidità con il loro vero nome. Prevedeva il rispetto dei diritti, dell’ingegno e dell’indipendenza dell’uomo. Tutto ciò corrisponde completamente con gli elevati standard morali diffusi nella comunità giornalistica della stampa liberale. C’era uno standard etico non scritto che i giornalisti hanno onorato come qualcosa di sacro. I propagandisti che si piegavano al potere alla ricerca di una promozione, sempre pronti a cercare di ingraziarsi qualcuno, non erano rispettati dalla comunità.

Non si può dimenticare poi il fortissimo legame con i lettori. I giornali la cui diffusione si contava a milioni (17 milioni per Komsomolskaia Pravda, 20 milioni per Trud, il quotidiano delle unioni professionali) ricevevano centinaia di migliaia di lettere ogni giorno. La gente scriveva loro su ogni cosa. Non fidandosi né della giustizia né delle organizzazioni sovietiche, spesso si invocava i giornali come l’ultimo espediente per aiutare a riconoscere la verità. E i giornali sono stati spesso capaci di aiutare qualcuno a riottenere il proprio lavoro, ad uscire di prigione, a ristabilire la giustizia in situazioni concrete. Un editto del Comitato centrale impose che venissero affrontate le questioni sollevate dalla stampa, assicurandone l’ efficacia. I giornalisti venivano rispettati: una volta un mio collega perse tutti i suoi soldi e i documenti da qualche parte in Siberia ed ebbe modo di sperimentare l’amore delle persone su di sé; la gente fu felice di offrirgli, a proprie spese, il cibo e una casa dove dormire e di pagargli il biglietto per tornare a Mosca, proprio per il rispetto nel giornale per cui scriveva e per il lavoro dei giornalisti. Senza sorpresa, durante la Perestroika molti giornalisti cominciarono ad essere eletti deputati alla Camera: la gente credeva che questi focosi scrittori fossero capaci di governare tutto quel nostro enorme paese. Era un’illusione: né gli scrittori, né i musicisti, né i giornalisti, anche quelli motivati dai più nobili impulsi, potevano essere capaci di risolvere gli immensi problemi dell’intero paese.
A partire dal 1985 i principali protagonisti della rinascita della stampa furono i settimanali. Literaturka continuò e riattivò la linea editoriale che aveva già cominciato a seguire; con l’arrivo di Korotich all’Ogonyek e di Egor Yakovlev al Moskovskie novisti queste testate, da pubblicazioni sovietiche propagandistiche com’erano, sono state inaspettatamente trasformate in pubblicazioni radicali. I settimanali si facevano concorrenza per la durezza delle loro critiche nel riempire “i buchi neri” della nostra storia e nell’originalità dei loro giudizi. Non è esagerato dire che l’ ideale principale sostenuto da questo trio di giornali fino al 1989 (ampiamente appoggiato anche in tutti gli strati della popolazione) si materializzò nel concetto del “socialismo dal volto umano”. La pubblicazione da parte dell’Ogonyek delle pagine che Bukharin scrisse poco prima di morire fu un gesto simbolico e segnò il momento massimo delle speranze e delle aspettative.
Tutto questo coincise con la caduta del muro di Berlino, con le prime elezioni relativamente indipendenti del Soviet Supremo nell’ URSS (quando l’ accademico Andrei Sakharov si rivolse ai deputati!) e con la storica decisione di abolire l’articolo 6 della costituzione sovietica che affermava il ruolo guida del Partito Comunista.

Fu tempo di speranze, un momento di entusiasmo mai conosciuto in precedenza; si viveva un generale impulso di creatività e un’ euforia giornalistica. Una relativa libertà arrivò inaspettatamente, nessuno vi era abituato e la sensazione di novità e di avventura eccitava sia gli ardenti sostenitori del cambiamento che i conservatori; il tono delle polemiche crebbe, i notiziari politici e le recenti pubblicazioni dei giornali letterari furono discusse a tutte le ore dagli accademici, ma anche dagli operai dei collettivi nelle fabbriche. E tutto ciò continuò in questo modo fino al famoso colpo di mano del 1991, quando la Casa Bianca divenne un simbolo della democrazia per tre giorni e i volti dei giovani e degli anziani ammassati lì intorno sembravano incredibilmente belli e ispirati. Il nostro giornale, come molte pubblicazioni liberali, fu chiuso dalle autorità per molti giorni; ci adoperammo per una pubblicazione clandestina, provando ad ingannare i soldati che sorvegliavano intorno al nostro palazzo, correndo avanti e indietro tra la Casa Bianca e gli uffici editoriali e sentendoci parte della storia che si stava costruendo davanti ai nostri occhi. Nessuno di noi avrebbe mai più vissuto quell’esperienza. E nessuno tra coloro che vissero quel periodo l’avrebbe mai dimenticato.

Lo sviluppo del mercato prese la stampa alla sprovvista. Ricordo che all’Ogonyek nel 1990 intentammo una vertenza per difendere il diritto ad amministrare in modo indipendente i nostri soldi (testate di ideologia opposta alla nostra venivano pubblicate dalla stessa casa editrice, di proprietà della Pravda, con i soldi guadagnati grazie alla nostra popolarità; i loro giornalisti ricevevano salari molto più alti, rispettando i meccanismi dell’economia editoriale sovietica). Vincemmo la battaglia, la prima di quel tenore nella storia dell’ URSS, e in quel momento credemmo seriamente che quella indipendenza ottenuta avrebbe potuto portare successo economico al nostro giornale. Ma le ‘’leggi’’ di mercato in quel periodo diventarono così dure che presto ci dovemmo dimenticare completamente di quella prosperità economica. Molte pubblicazioni furono costrette a trovare immediatamente degli sponsor, e molto spesso sotto la maschera c’era lo stato stesso. Per la prima volta molte persone poterono conoscere un lato sconosciuto del mercato.

La stampa indipendente post-sovietica nasce nel 1991 con la nuova legge sulla stampa, che apparve prima della nuova costituzione russa e che garantiva la libertà di espressione e il diritto dei giornalisti a non essere costretti a scrivere qualcosa contro le loro stesse convinzioni. Nel 1992 furono registrate più di 400 testate e imprese editoriali, praticamente più di un giornale, magazine o stazione radiofonica al giorno! Non c’è bisogno di dirlo, solo poche sopravvissero economicamente. All’inizio del 1991 migliaia di non professionisti si precipitarono nel giornalismo, determinando immediatamente in questo modo un abbassamento del livello, fino ad allora discreto, delle pubblicazioni e delle trasmissioni radiofoniche; cominciarono a nascere (e subito fiorirono) i primi giornali scandalistici; apparve il nostro primo giornalino pornografico; nacquero anche i settimanali femminili, seguendo una tendenza che gli esperti chiamano ‘rinascimento patriarcale post-sovietico’.
La stampa occidentale divenne accessibile e le sue pubblicazioni arrivarono in Russia, catturando una fetta del mercato e mettendo le radici; gli editori russi provarono ad imitare i modelli occidentali oppure ritornarono alle forme tradizionali, troppo spesso scivolando verso lo scandalismo. “L’intrattenimento” prese il posto del “popolare”; e agli occhi soprattutto degli editori “la qualità” perse di valore. Fenomeni che furono anche il risultato della concezione perversa di libertà che c’era a quel tempo.
Dopo il 1991 i settimanali persero la loro precedente importanza e si fecero avanti i quotidiani, soprattutto quelli nuovi come Kommersant (un progetto ambizioso e di avanguardia che puntava a formare una nuova classe sociale – sulle sue pagine apparve per la prima volta il concetto di un “nuovo uomo russo”) e Nezavisimaia gazeta, che più degli altri ereditò le tradizioni liberali e intellettuali dei migliori periodici sovietici. Durante gli scontri del 1993 e la campagna elettorale del 1996, NG fu l’unico organo nazionale di stampa che osò sfidare il punto di vista dominante, per esempio prendendo posizione contro l’attacco dei carri armati al Parlamento russo e contro la campagna “Vota o perdi” (che costò il budget di un anno) per sostenere Yeltsin (che praticamente non ebbe appoggio alle elezioni) durante la corsa alle presidenziali. La popolarità del quotidiano Moskovskii komsomolets crebbe drammaticamente e sotto la leadership di Pavel Gusev divenne il primo giornale scandalistico diffuso in tutta la nazione.

Dopo il 1991 la televisione cominciò a diffondersi e a svilupparsi con energia, assumendo nuove forme, impegnandosi attivamente con la società e diventando protagonista degli affari e della vita politica; nuove stazioni radio spuntarono come funghi; i diversi canali e i programmi davano spazio ad un dibattito acceso nel quale presto le posizioni dei proprietari divennero sempre più evidenti e la censura economica divenne una realtà.

Nel 1996 l’intero sistema della stampa aveva acquisito una stabilità quasi di tipo sovietico: era stato spartito tra gli imperi delle oligarchie e rifletteva sempre più gli interessi, non della società, ma di gruppi politici e finanziari. Non rimase alcuna traccia del precedente romanticismo. Per molti giornalisti la professione era diventata un affare, si contendevano le commissioni migliori e il giornalismo fu trasformato in una forma di “relazioni pubbliche”, praticamente la solita vecchi propaganda, che sempre molto raffinata per i mezzi che utilizzava.

La campagna elettorale del 1999 ebbe tragiche conseguenze sulla professione giornalistica e sull’atteggiamento dell’opinione pubblica nei suoi confronti. La guerra tra l’impero economico di Berezovsky e quello di Gusinsky che veniva trasmessa ogni giorno rispettivamente su ORT e su NTV, i programmi aggressivi di Sergei Dorenko, sconfinanti in denuncie e provocazioni, la guerra del kompromat o le accuse infamanti… tutto ciò scioccò il pubblico. La fiducia nei giornalisti non fu mai così bassa in tutta la storia del paese: secondo alcuni sondaggi nel 2000, più del 70% dei russi non credeva ai giornalisti moscoviti.

L’inizio del nuovo secolo cambiò il corso degli eventi e vide la crescita dell’auto-censura. Il rafforzamento della “linea verticale di potere” del governo, la lotta contro il terrorismo, l’attacco dello stato alle libertà civili e gli interessi del mondo degli affari staccati dallo stato, hanno ricordato a molte persone il periodo della “stagnazione” di Brezhnev. Il fallimento virtuale della televisione indipendente ha privato milioni di cittadini russi dell’opportunità di ascoltare una serie di opinioni diverse su un evento accaduto lì e nel mondo intero. Il dibattito è rimasto confinato nella radio, nella carta stampata e su Internet, ma il pubblico di questi mezzi di comunicazione non è così vasto: la maggior parte dei russi, in gran parte per ragioni economiche, preferisce le notizie televisive. Durante il periodo sovietico ogni famiglia nella media si abbonava a 5 o 7 pubblicazioni (di solito quotidiani, giornali locali, magazine giovanili, settimanali femminili e pubblicazioni letterarie, sportive o di scienza). Oggi invece in alcune regioni c’è solo un abbonamento per 50 famiglie e inoltre è quasi sempre un giornale locale che copre solo le notizie della regione.

Lo stato ha fondamentalmente un monopolio delle notizie; possiede approssimativamente l’80% di tutta la stampa. Di fianco allo stato, i principali protagonisti del mondo dell’editoria sono le grandi corporazioni “Profmedia”, “Sviazinvestbank” e “Gazprom”. Tra i quotidiani, quello con la diffusione maggiore è il supplemento domenicale del Komsomolskaia Pravda (2,8 milioni, mentre la circolazione giornaliera ammonta a 700.000) che è diventato un giornale scandalistico. Le pubblicazioni di qualità dell’opposizione, come Novaya gazeta, hanno una circolazione ristretta e non sono molto conosciuti nelle province. Le regioni hanno i loro piccoli imperi, compresi anche quelli indipendenti (circa l’80% dei soldi derivanti dalla pubblicità rimangono nel loro capitale). Più di sette mila quotidiani regionali (fondati largamente negli anni 20) sono per la maggior parte controllati dalle autorità locali e il loro destino non è completamente chiaro: la nuova legge sulla riforma delle autonomie locali non definisce la loro situazione e le loro possibili posizioni, e le condizioni per la loro autonomia finanziaria non esistono da nessuna parte.

Il fatto che i media indipendenti riescano ad affermarsi o meno nel paese, dipende soprattutto dallo sviluppo del mercato, compreso quello delle regioni, e dal livello di impegno della comunità giornalistica.

Sfortunatamente è ancora troppo presto per parlare di una solidarietà seria e professionale tra giornalisti. I giornalisti della Russia non sono ricchi (lo stipendio medio si aggira intorno ai 100 dollari al mese; una somma insignificante anche per le regioni povere, questa media comprende sia i compensi astronomici dei giornalisti radiofonici di Mosca sia i miseri stipendi dei giornalisti regionali). Un risultato di ciò è stata la brusca crescita del numero di donne che accedono a questa professione. Secondo l’Unione dei Giornalisti Russi, quasi l’80% dei giornalisti oggi sono donne; molte sono direttori della stampa locale e regionale e qualcuna ha dimostrato particolare coraggio e grandi ideali. L’editrice del quotidiano di opposizione Soviet Kalmykia, Larisa Yudina, che fu ammazzata nel giugno 1998 alla periferia di Elista, è diventata un simbolo dell’integrità giornalistica e il prestigioso premio “Vopreki” è stato indetto in suo nome. L’Unione dei Giornalisti Russi, la più grande organizzazione di giornalisti del paese, sta combattendo per la libertà di espressione e per delle regole del gioco oneste che regolamentino il mercato dei media e continua a difendere i diritti dei giornalisti. Lentamente ma di sicuro, l’Unione sta cominciando a lavorare, come il Fondo per la Difesa Sociale e Legale.

I giornalisti stanno cominciando a capire che solo l’unità può farli rimanere in piedi davanti alle pressioni economiche e delle autorità, che la vera libertà non cade dal cielo e non può nemmeno essere concessa “dall’alto”, come durante il periodo della Perestroika. Può soltanto essere conquistata lottando. E parte di questa lotta si deve compiere contro il nostro istinto ad obbedire agli ordini. Oggi, in una situazione che per molti versi ricorda l’era della “stagnazione” di Brezhnev, le parole di Anton Chekhov secondo cui ognuno ‘’goccia a goccia deve strizzare fuori lo schiavo che ha in s钒 sembrano calzare a pennello. Questo si adatta all’intero paese e il malcontento civile che alla fine è scoppiato per le strade e che ha costretto le autorità a fare attenzione, invoglia ad assumere un certo atteggiamento ottimistico.

I 20 anni che sono passati da quando i primi venti primaverili della Perestroika hanno cominciato a soffiare, ci hanno insegnato a non credere in facili promesse e a non ingannarci con parole eloquenti. Ci hanno insegnato a mettere da parte le illusioni e, per chi vuole crederlo, ci hanno rivolto verso le azioni pratiche. Ci ha ricordato che nulla dovrebbe essere distrutto “dalle fondamenta”, che non possiamo vivere di utopie. La nuda libertà che si abbatte sui giornalisti russi ha cominciato ad acquisire una vera e propria consistenza, anche in alcune pubblicazioni e trasmissioni radiofoniche e sui siti internet che attirano molti più lettori e ascoltatori. Un’ era di giornalismo civile, un giornalismo che si adopera per assistere gli umili e per restaurare la giustizia calpestata, un’ era di giornalismo del popolo sta arrivando in Russia, a dispetto di ogni altra cosa. È impossibile non crederci, guardando indietro agli ultimi tempestosi e drammatici vent’anni, con tutti i loro idoli, fantasmi, miraggi sconfitti.

Il bisogno di questo tipo di giornalismo da parte della società è troppo forte e il desiderio di giornalisti veramente giovani di mettere in pratica proprio questo tipo di giornalismo cresce naturalmente. Lo vedo negli studenti di giornalismo del Dipartimento presso l’ Università di Mosca, nei miei giovani colleghi che lavorano nelle situazioni locali e che non hanno nessuna intenzione di lasciare in pace i funzionari o i poteri corrotti. Sono colleghi che preferiscono i più tradizionali valori dell’ intellighentsia russa (impegno civile e rispetto della verità) a quelli della cultura di massa. Mi piacerebbe credere che questi giovani guarderanno al mondo senza occhiali appannati e senza gli spettri surrealistici della Perestroika e che vorranno infrangere i baluardi di questo mercato predatore e le proibizioni amministrative, proprio come l’ erba si insinua sotto l’ asfalto.

(traduzione dall’ inglese di Michela Finizio)

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Nadezdha (Nadia) Azhgikhina è giornalista, critica letteraria e militante femminista. Ha cominciato la sua carriera giornalistica nel 1982 alla Komsomolskaya Pravda e, con l’ arrivo della Perestrojka, ha cominciato a lavorare col settimanale Ogonyek. Nel 1992 ha fondato l’ Associazione delle giornaliste russe con Irina Jurna. Fra il 1995 e il 2001 ha fatto parte della redazione del quotidiano Nezavisimaya gazeta, curando per la prima volta in un giornale russo una pagina dedicata alle donne.Quando il fondatore e direttore del giornale fu fatto fuori dalla proprietà nel 2001, è entrata nella segreteria dell’ Unione dei giornalisti russi.Ha scritto e pubblicato vari libri e pamphlet, è condirettrice – con Colette Schulman – di una rivista di studi sulle donne, We/Vivy: il dialogo femminile, e insegna giornalismo all’ Università di Mosca.